E’ sorprendente constatare quali sono i risultati dell’esegesi di Vittorio Emanuele Parsi, professore ordinario di Relazioni Internazionali all’Università Cattolica di Milano applicata alla nuova Carta di Hamas. Comprendiamo che Parsi nutra ostilità nei confronti della sola scriptura luterana, ma se l’avesse applicata in questo caso, ne avrebbe tratto sicuro giovamento. Invece no, e così, in un articolo su Panorma dobbiamo leggere che il testo del gruppo integralista islamico è da accogliere con un sospiro di sollievo in quanto:
“Sparisce ogni riferimento alla Fratellanza musulmana, di cui Hamas è storicamente un’emanazione, così come viene esplicitata la differenza tra «sionisti occupanti» e semplici ebrei… Non è detto per nulla che passi sia pur motivati da ragioni tattiche non possano produrre cambiamenti strategici, se non vengono lasciati cadere nel nulla da parte della comunità internazionale. Comunità che ha tutto l’interesse a distinguere tra le tante organizzazioni armate del Medio Oriente e a favorire l’evoluzione politica di Hamas, piuttosto che lasciarla marcire e contagiarsi nel calderone del «terrorismo jihadista». In fondo, anche l’Olp all’origine praticava la strada della violenza”.
Rosso di sera, bel tempo si spera. Per Parsi il tempo volge al sereno in questa rinnovata edizione della Carta Programmatica del 1988, la quale recepiva in toto tutti i topoi desunti dall’antisemitismo complottista dei Protocolli dei Savi di Sion innestandoli con successo con il suprematismo islamico. Basta il maquillage semantico per il quale i perfidi “ebrei” si trasformano in perfidi “sionisti” a rendere le cose più appetibili, così come basta non fare accenno ai Fratelli Musulmani, casa madre del gruppo jihadista. Un po’ come faceva Arafat il quale si travestiva da combattente sudamericano e alzava il pugno per convincere gli occidentali che il jihadismo fosse invece lucha de liberation dal “colonialismo” sionista. Muy Bien.
La realtà è ben altra. Il “nuovo” documento di Hamas ha mantenuto sostanzialmente intatto l’impianto ideologico e programmatico della Carta del 1988 smussando alcuni angoli ma lasciandolo interamente impregnato del medesimo succo venefico. Basterebbe leggerlo testo a fronte (sola scriptura et sine glossa) invece di procedere di sguincio con letture di irresistibile parzialità e fragilità.
A questo proposito vediamo come la luce di un futuro più radioso si annuncia chiaramente relativamente a Israele esaminando un paio di articoli campione:
15. Il progetto sionista non ha come obbiettivo solo il popolo palestinese, è nemico dell’Umma araba e islamica, ponendo una grave minaccia alla sua sicurezza e ai suoi interessi. E’ inoltre ostile alle aspirazioni dell’Umma a favore dell’unità, del rinnovamento e della liberazione e è la fonte principale dei suoi problemi. Il progetto sionista pone anche un pericolo alla sicurezza internazionale, alla pace e all’umanità nei suoi interessi e nella sua stabilità (corsivi miei).
La demonizzazione dell’ebreo è qui palesemente trasferita al sionismo, l”entità sionista”, come la definiva Yasser Arafat nel suo discorso di debutto all’ONU nel 1974. Il sionismo, come prima l’ebraismo, di cui esso è solo un sinonimo trasparente, non è solo un nemico per l’Islam di cui l’Umma è la rappresentanza, ma è addirittura un nemico dell’umanità. Così come per Adolf Hitler, “L’Ebreo è colui che avvelena l’umanità”, per Hamas lo è il sionista. Si tratta indubbiamente di un segno di progresso da cogliere al volo per favorire “l’evoluzione politica di Hamas”. Un ulteriore segno positivo possiamo constatarlo altrove. Qui per esempio:
20. Hamas ritiene che nessuna parte della terra della Palestina debba essere compromessa o concessa, irrispettivamente delle cause, le circostanze e le pressioni e indipendentemente da quanto durerà l’occupazione. Hamas rigetta qualsiasi alternative a una piena e completa liberazione della Palestina, dal fiume al mare. Ciò nonostante, senza compromettere il suo rigetto dell’entità sionista e senza abdicare a nessun diritto palestinese, Hams considera una formula di consenso nazionale il venire in essere di uno stato palestinese sovrano lungo i confini del 4 giugno 1967, con il ritorno dei rifugiati e dei dispossessati alle case dalle quali furono espulsi.
Si afferma che uno Stato palestinese all’interno dei confine del 1967 va bene, ma va bene per cosa? Come piattaforma per la liberazione di tutta la Palestina, senza se e senza ma, con il corollario inevitabile del ritorno di sei milioni di cosiddetti “rifugiati” in modo da sancire la definitiva sparizione dello Stato ebraico. Tutto ciò va bene, è un segno incoraggiante che bisogna cogliere al volo per evitare che Hamas si “contagi” con il jihadismo, la sua profonda ragione di essere mai venuta meno e ribadita esplicitamente dall’articolo 23 del “nuovo” statuto, “La resistenza e il jihad per la liberazione della Palestina resteranno un diritto legittimo un dovere e un onore per tutti i figli e le figlie del nostro popolo e dell’Umma”.
Nell’esegesi di Parsi questi aspetti scompaiono completamente. Al loro posto prevale l’onirismo spinto, il cui apice è raggiunto a fine articolo, dove prendendo esempio dall’OLP, passata dalla violenza dell’”origine” alla strada della “moderazione” si indica la possibile conversione di Hamas:
“ «Le parole sono pietre» recita l’antico adagio: è vero ovunque e lo è ancora di più in Medio Oriente, dove nessuna dichiarazione lascia il tempo che trova. O ci siamo dimenticati l’eco disastroso delle parole di Benjamin Netanyahu, quando durante la campagna elettorale affermò che non avrebbe mai applicato gli Accordi di Oslo? Quelle di Hamas non sono ancora parole di pace, ma se non altro vanno nella giusta direzione. Sarebbe un delitto politico sottovalutarle”.
L’asino casca qui, con il riferimento a Netanyahu, evidente esempio di intransigenza israeliana contro le incoraggianti aperture palestinesi. Peccato che non fu Netanyahu a fare fallire Oslo, ma Yasser Arafat, il quale ad accordi già firmati dichiarava già il 10 maggio del 1994 a Johannesburg il proseguimento del jihad paragonando Oslo alla tregua di Hijaz stipulata da Maometto nel 628 e infranta appena fu forte abbastanza da poterselo permettere.
Hamas è rimasto esattamente uguale a se stesso, alle sue origini e alle sue istanze programmatiche. Il disconoscimento radicale di Israele, la demonizzazione dell’ebreo nella fattispecie del sionista, la rivendicazione islamica su tutta la Palestina, il proposito di continuare la lotta armata fino alla fine.
E’ scritto chiaramente, nero su bianco nel documento “rinnovato”, senza tentennamenti. Eppure i palestinisti alla Vittorio Emanuele Parsi non vogliono vederlo e per un motivo molto semplice e non dichiarato, per loro il problema è e sarà sempre Israele.