Per celebrare il venticinquesimo anniversario delle relazioni tra Cina e Israele, l’università della Bar Ilan (di Ramat Gan, vicino Tel Aviv) ha allestito una speciale mostra sulle comunità ebraiche presenti nel Paese della Grande Muraglia. Attraverso le numerose fotografie e i filmati, viene raccontata la storia degli ultimi 150 anni, fatta di immigrazioni, salvataggi e ricchi scambi culturali. La dottoressa Danielle Gurevitch, organizzatrice dell’evento, ha spiegato che gli ebrei e i cinesi sono i popoli più antichi del mondo, che le due culture si sono sviluppate parallelamente e che hanno molto in comune: “Noi, nella moderna Israele, parliamo l’ebraico, la stessa lingua dei nostri antenati di cinquemila anni fa, esattamente come i cinesi hanno preservato il loro idioma. Abbiamo gli stessi valori: amiamo il nostro Paese, il nostro retaggio e i nostri filosofi. La saggezza di Confucio è frequentemente citata, così come quella di Maimonide e diamo molta importanza alla famiglia e all’istruzione. Sappiamo anche che il pensiero ebraico è apprezzato nell’Est asiatico e specialmente in Cina, per la sua creatività e il rigore scientifico”.
Secondo le ultime scoperte archeologiche, la prima presenza ebraica risale al periodo della dinastia Tang, nel settimo secolo dell’Era Cristiana. In molti si trasferirono poi a Kaifeng, la capitale di allora, nell’11 secolo, durante la dinastia Son. Per secoli hanno goduto degli stessi diritti e sono stati trattati alla pari dal resto della popolazione. Gli ultimi centocinquant’anni hanno visto tre ondate di arrivi: la prima nel 1840, quando giunsero nel Paese numerosi sefarditi dal Medio Oriente e da altre parti dell’Asia, in cerca di sbocchi commerciali e di posti tranquilli dove vivere e lavorare in pace. La seconda, nel 1880 quando migliaia di ashkenaziti vi trovarono rifugio dal crescente antisemitismo e dai pogrom dell’Europa orientale. La terza, fra il 1933 e il 1941, quando la Cina, al contrario di tanti altri Stati che chiusero le loro frontiere, accolse gli ebrei perseguitati dal nazifascismo. Nella sola Shangai ne giunsero oltre 30 mila, più di quanti ne arrivarono in Canada, Australia, India, Sud Africa e Nuova Zelanda insieme. La popolazione locale li aiutò anche durante e nonostante l’occupazione dei giapponesi. In quegli anni venne costruito un ghetto dove gli ebrei locali furono costretti a risiedervi e la loro vita divenne molto più difficile, ma, sebbene i nipponici fossero alleati dei nazisti, non fu mai praticata la “Soluzione finale”. Molte foto mostrano la storia dei buoni rapporti di quei tempi memorabili, in cui gli ebrei trovarono la salvezza e la sicurezza, offrendo in cambio il loro contributo che fu molto importante per la modernizzazione del Paese. “In Cina gli ebrei non hanno mai conosciuto l’antisemitismo e sono stati sempre rispettati” conferma uno storico cinese, coorganizzatore della mostra.
Attualmente ci sono alla Bar Ilan, 20 giovani cinesi impegnati in diversi campi. Una di essi, Xiu Gao, sta studiando da quattro anni come gli ebrei venivano descritti nei testi shakespeariani tradotti in cinese, poiché ritiene che ciò possa far luce sulla percezione degli ebrei da parte del suo popolo nei diversi periodi degli ultimi due secoli. Un altro allievo, Amos Lin, di Singapore, sta facendo ricerche sulla storia ebraica nel Sud Est asiatico e in particolare sull’influenza dei mercanti iraqeni. Queste conoscenze, secondo lo studente, potranno incidere sul futuro del continente, poiché dimostreranno i forti legami e le influenze reciproche tra ebrei e cinesi.
Alla fine della guerra molti ebrei emigrarono negli Stati Uniti e oggigiorno solo ne rimangono nel Paese poche centinaia, soprattutto a Hong Kong. L’ebraismo non è tra le cinque religioni riconosciute e le relazioni con Israele sono state avviate soltanto nel 1992. I rapporti tra i due governi sono sostanzialmente di carattere economico, ma il proficuo scambio di studenti e di ricercatori è andato da allora via via aumentando.