In rapporto alla Brexit, di cui già ci siamo occupati a lungo, occorre definire sia i suoi effetti sulla nuova configurazione geopolitica dell’Europa che quelli riguardanti la struttura della finanza sia europea che mondiale.
E’ del tutto probabile che, in questa fase, le banche centrali permetteranno ai mercati solo una reazione limitata alla Brexit, senza favorire né con l’eccesso di liquidità per i salvataggi e, neanche, con una stretta irragionevole del credito, l’espansione del contagio. L’obiettivo delle banche di emissione nazionali, e certamente quello della BCE, sarà quello di confermare il livello dei tassi raggiunto a febbraio scorso, con qualche oscillazione che permetterà guadagni marginali per gli investitori e una diversa distribuzione dei potenziali di rischio. La Banca d’Inghilterra ha messo da parte oltre 344 miliardi di Sterline per le “misure di stabilità”. Saranno, al momento, certamente sufficienti.
Per quanto riguarda la Borsa, i banchieri di sistema la faranno arrivare rapidamente al minimo, per poi riportarla a valori più ragionevoli, ovvero circa del 50%, raggiunti subito dopo lo spoglio delle schede elettorali britanniche. Niente crollo di borsa estivo utile per Trump, che potrebbe certamente essere elettoralmente sfruttato dal Tycoon americano; e quindi niente effetto valanga sulle finanze europee. Dopo la Brexit, però, dietro l’angolo c’è l’Italia. E’ bene non dimenticarlo mai.
Ma qual è davvero l’effetto geopolitico dell’indebolimento innegabile della Unione Europea dopo la Brexit? Intanto, tutti i mercati globali sono simultaneamente caduti dopo le notizie da Londra, e la sterlina è caduta al suo minimo dal 1985. Quindi, gli effetti di una scelta politica interna alla UE, trattandosi di un Paese che siede sin dalla sua fondazione nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, è un membro del club nucleare, è una potenza militare primaria, sono determinanti per i mercati mondiali. E un Paese, la Gran Bretagna, che ha peraltro un forte legame economico con la Cina, come dimostra la visita di XiJinping a Londra dello scorso Settembre. Il progetto del governo di Sua Maestà britannica è intenzionato a fare investire capitali privati inglesi nelle industrie pubbliche di Pechino, senza qui poi analizzare il progetto di costruire, con capitali in gran parte cinesi, una grande centrale nucleare in Inghilterra. La Cina oggi, è bene ricordarlo, manovra oltre 155.000 compagnie di Stato con la disponibilità totale di oltre 104 trilioni di yuan. Se l’economia inglese cadrà temporaneamente in un range tra lo 0,6 e il 3%; la internazionalizzazione di Londra e l’integrazione dell’economia cinese nel quadro UE ne saranno fortemente danneggiate. Con gravi danni per il resto dell’Europa. E perfino senza un quadro di espansione del mercato interno, che anzi sarà ulteriormente colpito a causa del nuovo, sfavorevole cambio sterlina-Euro.
Ma qual è il reale quadro strategico in cui ci muoviamo dopo la Brexit?
Vediamo alcuni effetti a medio-lungo termine:
a) La Brexit allontana la creazione del sistema eurasiatico. Ma potrebbe favorire sia la separazione de facto della UE dal quadro strategico della NATO che l’indebolimento integrale delle trattative con gli Usa sul TTIP, che una EU meno politicamente credibile non potrà certo reggere.
b) La nuova configurazione del sistema-Eurasia è poi più complessa di quanto non potessimo prevedere anche pochi mesi fa.
c) Ovvero: l’integrazione tra Russia e Cina, le trasformazioni della finanza di Pechino, la nuova postura di Mosca in Medio Oriente vogliono dire una cosa sola.
d) In altri termini, si tratta dell’espulsione della UE dal suo Estero Vicino e l’eliminazione del suo potenziale mediatorio con l’area araba dell’OPEC, poi la sua marginalità nei nuovi equilibri con l’Iran dopo il JCPOA nucleare, infine la sua possibile chiusura nei confronti del progetto Silk and Road Initiativecinese sul piano, almeno, delle reti marittime.
La soluzione potrebbe venire da un accordo completo della UE con l’asse Russia-Cina, per pacificare da una parte il sistema maghrebino e dall’altra quello che va dall’Asia Centrale al Corno d’Africa.
Se l’UE non sarà infine capace di stabilizzare la Libia, mostrerà a tutti che non ha alcun rilievo geopolitico, e questo dato sarà ben calcolato dagli altri Decisori globali. La questione libica è un caso di specie di insipienza europea: la lotta contro l’Isis a Derna e soprattutto a Sirte è oggi condotta da Al Binyanal Marsoos (“La solida struttura”) che ha un qualche collegamento con il Governo di Accordo Nazionale di Al Farraj, ma non riceve ordini da quest’ultimo. Se l’unico governo riconosciuto internazionalmente della Libia non ha comando sulle proprie forze armate in una fase di scontro aspro e durissimo,allora la comunità internazionale non ha alcun tipo di leverage sulla Libia e, quindi, sull’intero Maghreb, che sta per integrarsi in modo non del tutto subalterno al quadrante economico, solo puramente economico e normativo della UE.
L’interscambio tra Nord e Sud del Mediterraneo è cresciuto, secondo gli ultimi dati, del 413% e del 321% rispettivamente per Turchia e per l’Algeria. Israele arriva ad un +10%, e sarà da vedere come si modificherà lo scacchiere mediorientale e mediterraneo quando avrà tutti i suoi effetti l’accordo strategico e militare, ma con la protezione militare russa, che ristabilisce i contatti politico-militari tra Ankara e Gerusalemme per il passaggio delle reti gaziere dal Leviathan israeliano verso gli sbocchi turchi e a Cipro. Mentre non è affatto da dimenticare l’accordo tra Russia e Israele per il coordinamento militare e informativo, che presuppone la protezione di fatto delle alture del Golan dalle incursioni del jihad sciita.
Un nuovo quadro del Mediterraneo, quindi, che restringe l’UE e la rende strategicamente marginale, mentre gli USA sono intenti solo a chiudere la Federazione Russa ai suoi confini nella penisola eurasiatica e a ipotizzare alcune operazioni destabilizzanti verso l’area cinese, attraverso la deformazione selettiva di alcune regioni autonome di Pechino e di altri Paesi dell’Asia Centrale, sia attraverso la fissura generata dalla crisi in Ucraina sia attraverso azioni autonome dal Nord dell’India.
Quindi, abbiamo a che fare con una Eurasia che cresce, con l’unione sempre più stretta tra Federazione Russa e Cina, mentre l’UE si indebolisce, si restringe e si fraziona, con l’ormai stucchevole propaganda contro gli inglesi “cattivi” e “nazionalisti” e contro la categoria più fallace e fantasiosa della scienza politica attuale, il “populismo”.
Se l’UE saprà progettare un sistema strategico in rapporto con l’Eurasia, che permetta all’Europa l’espansione e la securizzazione dei suoi confini; e se la NATO diventerà uno strumento militare à la carte per i suoi Paesi maggiori, allora la fine dell’Europa, quella di Schuman ma anche di Thomas Mann, sarà vicinissima.