Una figura controversa, che a leggerne la storia si rimane esterrefatti. In qualità di vicepresidente del Parlamento bulgaro non si oppose minimamente alla richieste naziste di approvare le leggi razziali nel suo paese, illudendosi che un regime totalitario fosse la miglior risposta alla corruzione e al degrado della politica.
Dimitar Pesev non immaginava le conseguenze che il suo gesto avrebbe portato. Mai avrebbe creduto che di lì a poco Hitler avrebbe richiesto la consegna di tutti gli ebrei bulgari. Ma la Storia è fatta di un insieme di storie personali che ne cambiano il corso. Così una domenica di Primavera, Pesev ricevette la visita di un suo vecchio compagno di scuola ebreo proveniente da Kjustendil, piccola città al confine con la Macedonia dove il politico aveva vissuto fino all’adolescenza. Venne informato che il suo governo in accordo con quello tedesco stava preparando per il giorno successivo la deportazione segreta di 48mila ebrei suoi connazionali, che dovevano essere rastrellati e caricati sui vagoni per essere portati in Polonia. Decise di aiutare il suo amico e tutti i suoi amici ebrei. Andò in Parlamento e con una delegazione di deputati si diresse nell’ufficio del ministro degli interni Gabrovski e dopo uno scontro violento lo costrinse a revocare l’ordine della deportazione. Poi si accertò di persona con tutte le prefetture per verificare che il contrordine fosse stato rispettato.
A quel punto si rese conto che nelle sue mani non c’era solo la salvezza di qualche amico d’infanzia, ma quella di migliaia di persone. A quel punto, ottenuta la sospensione della deportazione, scrisse una lettera di protesta durissima e raccolse le firme di una quarantina di parlamentari per chiedere al governo e al re di non commettere un crimine di quella portata. L’obiettivo fu raggiunto ma non senza conseguenze: Pesev perse la carica in Parlamento e rischiò di essere consegnato ai tedeschi, qualora avessero vinto la guerra. Nella seconda metà degli Anni 40, Pesev denunciò i partigiani, rei secondo lui di consegnare il paese ai russi, che una volta occupata la Bulgaria lo processarono con l’accusa di essere antisovietico.
Fu condannato a 15 anni di carcere e alla requisizione di tutti i beni. Uscì per amnistia un anno e mezzo dopo. Morì il 20 marzo 1973, anno in cui la commissione di Yad Vashem gli riconobbe il titolo di “Giusto tra le Nazioni” per il ruolo svolto nel salvataggio degli ebrei bulgari, a rischio della sua stessa vita.