Le nuove linee guida dell’UE sull’etichettatura dei prodotti provenienti dagli insediamenti israeliani in West Bank sono l’esempio di una nuova discriminazione istituzionalizzata. Come ha ricordato il Ministero degli Esteri israeliano in una nota pubblicata ieri, la discriminazione ai danni dello Stato d’Israele è palese se si considera il fatto che altre simili dispute territoriali ( Sahara Occidentale e Cipro del Nord su tutte) sono state completamente ignorate dall’Unione Europea.
I funzionari delle istituzioni europee si sono difesi da questa accusa, definita “emotiva e irrilevante”, affermando che le linee guida sono una mera applicazione della politica dell’UE e garantiscono il diritto del consumatore di sapere se ciò che sta acquistando proviene da un Territorio Conteso.
E’ possibile però fare alcuni parallelismi con la situazione del Sahara Occidentale, anch’esso considerato Territorio Conteso, che chiede da anni la liberazione dall’occupazione del Marocco e la possibilità di autogovernarsi. Proprio come per la questione palestinese nel 1979 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha condannato il Marocco per l’occupazione dell’ex colonia spagnola nel Nord Africa e ha affermato “il diritto inalienabile all’indipendenza” del Sahara Occidentale. Anche l’Unione Europea è intervenuta sul caso nel 2005 con una risoluzione che chiedeva l’autodeterminazione per il popolo del Sahara Occidentale.
A fronte di questi parallelismi è chiaro che l’assenza di politiche di etichettatura simili per il Sahara Occidentale costituisce l’esempio dello standard diverso con cui Israele viene giudicato rispetto agli altri Stati. Si tratta di una vera e propria discriminazione che erode la credibilità delle istituzioni europee, per dirla con le parole di Erik Hagen, attivista ed ex Presidente del Western Sahara Resource Watch.
Tra il 2000 e il 2012 infatti l’Unione Europea ha siglato una serie di patti commerciali con il Marocco in cui la questione del Sahara Occidentale non viene mai menzionata. Perché allora il Consiglio degli Affari Esteri dell’UE ha indicato nel 2012 l’inapplicabilità di simili patti commerciali con Israele per i territori che non facevano parte dello Stato ebraico prima del 1967? In parte la risposta ce la fornisce il fatto che le linee guida sono nate sotto diretto impulso dei 16 Ministri degli Esteri che chiesero in una lettera alla Commissione Europea l’implementazione di tali misure.
Ma il caso del Sahara Occidentale non è isolato: nessuna etichetta speciale nemmeno per il Tibet, per il Kashmir e per il Cipro del Nord. Bollare la questione come mero antisemitismo è riduttivo, le motivazioni che hanno portato a questa decisione sono maggiormente politiche. Storicamente infatti il conflitto israelo-palestinese attira molta più attenzione rispetto ad altri e garantisce ai politici che se ne occupano una grande visibilità dovuta all’ampia copertura mediatica fornita da giornali e TV.
Il timore è che misure del genere non siano che il preludio a un boicottaggio di più ampie dimensioni nei confronti di Israele. Nel frattempo agli occhi di chi vorrebbe che il conflitto israelo-palestinese non fosse trattato come materia da ultrà, con parteggiamenti dettati più dagli interessi e dalle ideologie che dalla giustizia e dalla verità, l’Unione Europea perde qualsiasi tipo di credibilità per la mancanza di un’equa applicazione del diritto internazionale.