I primi giunsero a Cuba con le tre caravelle di Colombo, il più famoso dei quali fu Luis Torres che, mandato in avanscoperta alla ricerca dell’oro, invece del metallo prezioso trovò il tabacco, materia prima che comunque arricchì il regno di Isabella e Ferdinando. Successivamente ne arrivarono tanti altri che fuggivano dall’Inquisizione spagnola, ma lì subirono una persecuzione ancora più feroce da parte dei nuovi immigrati europei. Molti furono trucidati e i loro beni confiscati, così i superstiti furono costretti a convertirsi. La parte più cospicua si assimilò del tutto, ma alcuni continuarono a vivere la loro identità culturale e religiosa in forma del tutto clandestina. Una seconda ondata di arrivi si verificò tra la fine del sedicesimo e durante tutto il diciassettesimo secolo, quando molti vi cercarono rifugio in seguito alla riconquista portoghese del Brasile. Questi ultimi stabilirono intense relazioni commerciali prima con le Antille e con le altre isole vicine, poi con l’Olanda e la Germania e infine, nel diciannovesimo secolo, con gli Stati Uniti da dove arrivarono altri immigrati che parteciparono alla liberazione dell’isola dalla dominazione coloniale spagnola e che nel 1906 fondarono la prima sinagoga riformata. Questo evento fu considerato l’inizio ufficiale della comunità ebraica dell’isola caraibica.
Nel 1924 un gruppo proveniente dalla Turchia fondò a Santiago la Sociedad Uniòn Israelita de Oriente che si occupava sia degli aspetti religiosi che di quelli sociali ed economici.
Negli anni ’30 Cuba fu il primo Paese americano ad aprire le porte agli europei che fuggivano dal nazismo. Si sviluppò, così, un grande fermento culturale, venivano pubblicati giornali sia in yiddish (un misto di tedesco, lingue slave e parole ebraiche usato dagli ashkenaziti) che in ladino (il giudaico-spagnolo-portoghese parlato dai sefarditi), un ristorante kasher, cinque scuole elementari e una superiore.
Il suo massimo splendore venne raggiunto nel periodo tra la fine della seconda guerra mondiale e l’inizio della Rivoluzione del 1959, con quindicimila anime, di cui dodicimila soltanto nella capitale.
Con l’arrivo di Castro, il novanta per cento della comunità fuggì, soprattutto negli Stati Uniti, ma anche in altre zone dell’America Centrale, non a causa dell’antisemitismo poiché in realtà non c’era un movimento contro gli ebrei, ma per questioni sociali ed economiche: la Rivoluzione, infatti, mirava a distruggere la classe media, la borghesia, i liberi professionisti e i commercianti. Chi rimase o era troppo anziano o troppo povero per partire o credeva fermamente nel comunismo e finì per assimilarsi del tutto.
Tornarono in auge alcune discriminazioni religiose: agli ebrei, ma anche ai cristiani e ad altri fedeli fu ostacolato l’accesso alle università e a determinati lavori. Nonostante questo gli ebrei erano liberi di osservare le mitzvot (precetti) ed erano protetti dall’odio razziale o nazionale.
D’altra parte, però, vennero anche istituiti campi di addestramento per i terroristi palestinesi, frequentati perfino da alcuni dei futuri boss quali Abu Nidal e George Habbash; vennero diffuse pubblicazioni antisioniste e vietata la diffusione del diario di Anna Frank e dei libri di I.B. Singer e di E. Wiesel.
Nel 1973 il governo cubano, così come altri Paesi del Terzo Mondo, interruppe le relazioni diplomatiche con Israele e divenne uno dei suoi peggiori oppositori in sede Onu, partecipando attivamente a qualunque risoluzione che riguardava embarghi, sanzioni, tra cui anche la più infamante, quella che equiparava il Sionismo al razzismo.
Già negli anni ’60 comunque, alcuni ebrei vennero mandati in campi di lavoro forzato perché accusati di dissidenza politica o religiosa, per omosessualità o per aver chiesto di espatriare e i più attivi furono costretti a vivere sotto stretta e costante sorveglianza.
Successivamente chiusero le scuole, alcune sinagoghe vennero abbandonate, ma molti ebrei continuarono a praticare all’interno delle loro case e, nonostante la forte assimilazione, la comunità non scomparve. Negli anni ’80 venne di nuovo istituito un piccolo corso di studi domenicale, la Tikkun Olam Hebrew Sunday school, e negli anni ’90 venne lanciata l'”Operazione Sigaro”, con la quale 400 cubani furono aiutati clandestinamente ad emigrare in Israele. Con la progressiva riapertura al mondo occidentale, anche la vita ebraica ha cominciato a rifiorire: attualmente ci sono tre sinagoghe all’Havana, una ortodossa vicina al movimento Chabad, una conservative e una sefardita, mentre quella di Santiago è stata riaperta e restaurata; sempre nella capitale c’è anche un mikwé (un bagno rituale) e dal 1996 si sono festeggiati sei Bar Mizva, alcuni matrimoni e diverse nascite; ci sono corsi di studio, attività sociali e culturali sia per bambini che per adulti e perfino un gruppo di balli folkloristici israeliani. Anche gli ebrei che vivono nei piccoli centri più remoti e le famiglie miste stanno lentamente tornando alla loro identità originaria.