Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu intende sfruttare l’occasione del suo prossimo discorso al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite per denunciare le azioni dell’Iran in Medio Oriente, azioni che secondo Netanyahu sono la causa principale dell’instabilità della regione.
Dopo la firma dell’accordo sul programma nucleare iraniano la comunità internazionale è orientata a pensare che la Repubblica Islamica non otterrà armi di distruzione di massa per altri dieci anni e perciò non costituirà, fino a quel momento, una minaccia per Israele e per gli Stati sunniti dell’area. Da come i media e i leader occidentali hanno accolto l’accordo del Joint Plan of Action sembrano anzi convinti che l’Iran sia improvvisamente diventato un partner affidabile su cui ricostruire un nuovo ordine nel Medio Oriente infiammato dai conflitti etnici e dal jihadismo.
Incassata la sconfitta sulla questione nucleare Netanyahu cercherà ora di convincere il mondo che esistono diversi altri aspetti problematici rispetto al comportamento iraniano. L’assalto agli Stati sunniti sarà l’aspetto centrale della denuncia di Netanyahu, un problema che non riguarda direttamente Israele ma che potrebbe fungere da asse portante per una futura ed inedita cooperazione con alcuni paesi che non hanno mai avuto buoni rapporti con lo Stato ebraico. In questo ambito la riduzione dell’influenza iraniana nel Medio Oriente potrebbe essere, secondo il Primo Ministro israeliano, una buona chiave di volta per la soluzione della guerra civile siriana.
Pochi minuti prima di atterrare a New York Netanyahu ha infatti rilasciato una breve dichiarazione ai giornalisti presenti sul suo aereo lamentando il fatto che “l’Iran viene presentato come parte della soluzione mentre in realtà è l’aspetto problematico principale. Senza il supporto iraniano Assad sarebbe fuori dai giochi. La presenza del comandante delle Guardie Rivoluzionarie Iraniane Qassam Soleimani e delle truppe di Hezbollah è subordinata alla preservazione del regime di Assad.”
Ci sono buone probabilità che Netanyahu torni a criticare Obama per la recente stretta di mano con il Ministro degli Esteri iraniano Zarif, simbolo del ritorno della Repubblica Islamica all’interno della comunità internazionale a cui il Primo Ministro israeliano si oppone fermamente.
Parallelamente si sta preparando anche Mahmoud Abbas. Il Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese avrà anch’esso il suo momento per prendere la parola davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e, inoltre, parteciperà a una cerimonia in cui per la prima volta verrà issata la bandiera palestinese all’ONU.
Di sicuro la questione palestinese riceverà molto meno interesse a causa dei due principali problemi globali di oggi: la guerra civile siriana e la conseguente crisi dei migranti. Anche Netanyahu sarà molto più probabilmente concentrato sulle conseguenze dell’accordo dell’Iran e sul progressivo avvicinamento dell’ISIS ai confini di Israele ma non è detto che non voglia invitare, per la terza volta in un mese, la controparte palestinese a riprendere i negoziati diretti. Questo soprattutto alla luce degli ultimi scontri sul Monte del Tempio, causati soprattutto dalla propaganda palestinese che vorrebbe Israele intenta a prendere il possesso della sacra moschea di Al-Aqsa. Su questo argomento Netanyahu si è già espresso parlando alla stampa affermando che Israele intende mantenere lo status quo per il sito sacro sia per gli ebrei che per i musulmani e che se i riottosi continueranno a lanciare pietre, molotov e altri ordigni artigianali saranno loro a profanare la santità del luogo e a violare lo status quo.