Si avvicina il momento della verità per l’accordo sul nucleare iraniano: fra qualche giorno il Congresso degli Stati Uniti si riunirà per ratificare il trattato e renderlo operativo. I senatori del partito repubblicano vorrebbero bloccare l’iniziativa diplomatica del Presidente Obama ma le speranze di successo sono molto limitate. Obama infatti può utilizzare il suo potere di veto in caso di voto contrario del Congresso, veto che può essere aggirato solo da una maggioranza dei due terzi dell’Assemblea che è molto improbabile si formi perché richiederebbe l’adesione di alcuni membri del partito democratico fedele al Presidente.
Dalle parole del senatore Mitch McConnell si evince che i repubblicani hanno ben chiara la situazione di svantaggio. “Il Presidente ha grandi probabilità di successo” è stato il suo commento a margine di un incontro con gli altri senatori riguardante proprio la strategia da perseguire sull’accordo. Il partito repubblicano non ha però intenzione di cedere facilmente e darà battaglia per far sì che il trattato non venga ratificato. E’ partita così la conta dei voti necessari ad entrambe le fazioni: Obama ha bisogno del supporto di almeno trentaquattro senatori e di centoquarantasei appartenenti alla Camera dei Rappresentanti, un numero facilmente raggiungibile nonostante qualche esponente dei democratici abbia già dichiarato di volersi opporre all’iniziativa del Presidente.
In ogni caso, anche se Obama come è prevedibile prevarrà, l’accordo potrebbe essere modificato dal prossimo Presidente degli Stati Uniti che si insedierà nel 2016. Per questo McConnell spera che almeno il suo partito non si sfaldi in attesa delle prossime elezioni e che i suoi colleghi votino in maniera compatta al momento della resa dei conti.
Il Partito repubblicano degli Stati Uniti ha una visione dell’accordo firmato a Vienna che è molto simile a quella dello Stato d’Israele: non solo il trattato lascia all’Iran la possibilità di continuare l’avvicinamento alle armi nucleari tramite un sistema di ispezioni imperfetto ma non incide in alcun modo su altre questioni importanti come il rispetto dei diritti umani e il finanziamento alle organizzazioni terroristiche come Hamas ed Hezbollah. Inoltre la rimozione delle sanzioni imposte all’economia iraniana garantirebbe un maggiore afflusso di denaro che potrebbe essere riversato nelle casse dei terroristi o investito in politiche aggressive nei confronti di altri Stati del Medio Oriente come è già successo in Yemen. Una posizione magistralmente evidenziata qualche settimana fa da Bob Corker, Presidente del Comitato Affari Esteri del Senato, in un editoriale pubblicato sul Washington Post dal titolo “Il Congresso dovrebbe respingere lo svantaggioso accordo con l’Iran“.