Per diverse generazioni gli ebrei hanno vissuto in pace nei paesi islamici. Dagli ebrei di Babilonia a quelli arrivati in Nord Africa durante l’epoca romana, in molte zone a maggioranza araba la coesistenza fra le due religioni è resistita per secoli. Con i cambiamenti demografici e l’immigrazione verso l’Europa solo il 5% della popolazione mondiale ebraica ha scelto di rimanere in Marocco, Iraq, Tunisia ed Egitto alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale.
Prima dell’inizio delle due guerre gli standard di vita degli ebrei del Cairo e di Baghdad erano decisamente più alti di quelli dei loro correligionari nei piccoli villaggi dell’Europa Orientale. Molti di loro erano perfettamente integrati nel sistema economico e in alcuni casi, come quello dell’Impero Ottomano, riuscivano ad ottenere una rappresentanza nel governo.
L’emergere di due sentimenti contrastanti come il sionismo ebraico e il nazionalismo arabo ha comportato la nascita di tensioni fra le parti. Tensioni che poi sono esplose con la nascita della Stato d’Israele e con il conseguente fallimento dell’iniziativa militare dei paesi confinanti. Gli ebrei che abitavano in quei paesi hanno pagato a caro prezzo la fondazione di Israele: intimidazioni, violenze, sequestri e in qualche caso anche veri e propri massacri.
Il governo iracheno ad esempio nazionalizzò tutte le proprietà e le attività commerciali degli ebrei come risarcimento per i rifugiati palestinesi (che in realtà non misero mai le mani su questi beni, ma questa è un’altra storia). Stessa sorte subirono gli ebrei egiziani e quelli libici mentre dalla Tunisia, dall’Algeria e dalla Siria fuggirono con solo i vestiti che avevano addosso non appena questi Stati dichiararono l’indipendenza dal dominio coloniale lasciandosi alle spalle tutte le loro proprietà. Solo gli ebrei del Marocco furono trattati dignitosamente ma la maggioranza di essi decise di emigrare lo stesso. Alla metà degli anni ’60 erano circa settecentomila i rifugiati ebrei, molti dei quali si trasferirono in Israele.
E’ difficile stimare un valore totale dei beni persi da queste persone, un po’ perché è difficile traslare il mercato immobiliare dell’epoca nei paesi arabi in termini moderni, un po’ perché le fonti sono diverse e discordanti. Ciò che si può affermare con certezza è che in alcune zone, specialmente nelle grandi città come Il Cairo, Baghdad e Alessandria, interi distretti erano abitati da soli ebrei. Se a queste proprietà aggiungiamo le imprese e i negozi nazionalizzati dai governi arabi possiamo tranquillamente affermare che i mizrahim, gli ebrei provenienti dagli altri paesi del Medio Oriente, dovrebbero essere risarciti di una cifra compresa fra i quindici e i venti miliardi di dollari.
Se le speranze di ottenere un risarcimento erano già minime, con l’avvento delle Primavere arabe e il conseguente disgregamento di alcuni degli Stati tradizionali queste sono completamente sparite. Inoltre alcuni di questi Stati, ad esempio l’Egitto, non sarebbero oggi in grado di pagare a causa della crisi economica. Per Marocco ed Egitto esiste poi un problema diplomatico: perché innervosire due paesi che in questo momento hanno delle buone relazioni con Israele?
Nel 2010 il governo israeliano ha emanato una legge con cui si impegna, nell’ambito dei negoziati di pace con gli altri paesi del Medio Oriente, a cercare di risarcire i rifugiati ebrei provenienti dagli Stati arabi e dall’Iran. Secondo una stima effettuata dal governo l’ammontare del valore delle proprietà perse dai palestinesi in seguito alla guerra d’indipendenza coprirebbe solo il 60% delle proprietà perse dagli ebrei espulsi dal mondo arabo.