Per rendere digeribile all’opinione pubblica l’accordo sul programma nucleare iraniano tra la Repubblica Islamica e le maggiori potenze mondiali, il Presidente Hassan Rouhani è stato presentato come un leader moderato di cui l’Occidente può e deve fidarsi per rincorrere il nobile obiettivo della pace in Medio Oriente. Tuttavia questa affermazione rimuove selettivamente un aspetto molto importante dell’organizzazione politica iraniana: volendo anche prendere per vera l’idea che Rouhani sia una buona sponda, è necessario puntualizzare che il Presidente iraniano ha le mani legate dall’Ayatollah Ali Khamenei, leader religioso che grazie all’ordinamento statuale gode di grande autonomia nel delineare sia la politica nazionale che quella estera.
Proprio Khamenei ieri, a pochissimi giorni dalla definizione dell’accordo, ha pubblicamente infiammato i cuori degli estremisti religiosi iraniani che lo supportano pregando Dio per la distruzione degli Stati Uniti e dello Stato d’Israele. Nel suo discorso, effettuato a Teheran e andato in onda sulla tv nazionale, l’Ayatollah ha esplicitamente affermato che il patto siglato non cambierà l’atteggiamento di rifiuto dell’Iran nei confronti “dell’arrogante governo americano” e non influenzerà il rapporto con gli “amici” nella regione, chiaro segnale che il supporto a organizzazioni terroristiche come Hezbollah, Hamas e Houthi non cesserà e che, come teme il governo israeliano, anzi ne uscirà rafforzato grazie al maggiore flusso di denaro dovuto alla rimozione delle sanzioni economiche.
La folla, radunatasi per festeggiare la fine del Ramadan, ha risposto a Khamenei urlando “morte all’America, morte a Israele”, un triste slogan cantato in ogni avvenimento pubblico di una certa importanza nel paese e che incredibilmente non è stato recepito dai governi occidentali che si sono seduti al tavolo dei negoziati con la Repubblica Islamica. Solo una settimana fa avevamo segnalato di nuovo questa pericolosa tendenza all’incitamento alla violenza in occasione del Al-Quds Day.
Un odio che sommato al senso di orgoglio nazionale (“l’Iran non è capitolato nei colloqui, nessuno ci ha fermato dall’acquisire la bomba atomica perché non esiste tale progetto”) rischia di terrorizzare il resto delle nazioni dell’arena mediorientale e di conseguenza spingerle a una pericolosa corsa agli armamenti per prevenire qualsiasi tentativo di egemonia iraniano. Infine un monito per l’Occidente: “noi non vogliamo la guerra ma se questa ci sarà l’America e i suoi alleati soccomberanno.”
Grazie all’accordo annunciato martedì l’Iran vedrà i suoi sogni di nucleare rimandati di un decennio in cambio della rimozione delle sanzioni economiche e dello sblocco degli asset congelati all’estero. Molte delle parole pronunciate da Khamenei a Teheran erano già state pubblicate sul suo account Twitter nei giorni seguenti al patto di Vienna. Ora il leader supremo avrà l’ultima parola sull’implementazione dell’accordo, il suo atteggiamento ambiguo durante i negoziati, sempre oscillante tra lo scetticismo sulla possibilità di raggiungere una soluzione condivisa e l’orgoglio per il coraggio della delegazione iraniana, fa pensare che in qualche modo l’Ayatollah tenterà di inserirsi prepotentemente a giochi fatti non riconoscendo alcune clausole o interpretandole diversamente in maniera unilaterale.