Durante la Seconda Intifada, tra il 2001 e il 2004, i terroristi palestinesi provenienti dalla Giudea-Samaria eseguirono attentati efferati che uccisero 984 israeliani. Israele decise quindi di costruire una barriera difensiva lungo quelle zone.
La barriera esiste ancora ed e’ errato definirlo un “muro” perchè solo il 5% e’ composto di cemento armato mentre il restante 95% e’ una recinzione provvista di controlli elettronici di ultima generazione. E’ errato definirlo “muro” perchè consente il passaggio ad un milione di persone ogni mese, ha cinque passaggi per i veicoli, quattordici per i pedoni e sei per i trasferimenti di beni e servizi. E’ errato definirlo “muro” perchè questa parola lancia una serie di messaggi negativi quali la segregazione, la separazione e la volontà di non avere a che fare con il popolo che vive dall’altra parte della barriera difensiva, pensieri che non corrispondono alla verità. Ma c’è di più. Ogni giorno molti palestinesi vanno a lavorare in Israele, percependo uno stipendio migliore di quello che prenderebbero dall’Autorità palestinese che sono mesi che fa fatica a pagare i suoi dipendenti ( dato il grande numero di vitalizi che deve elargire alle famiglie degli assassini ). Lo sappiamo perchè sono loro a dirlo. I lavoratori palestinesi che peraltro hanno costruito loro la barriera difensiva, vorrebbero anche rimanere a vivere in Israele ma temono ritorsioni, temono per la vita delle loro famiglie nelle mani del regime mafioso diretto da Mahmoud Abbas.
La barriera difensiva e’ stata una necessità e non un desiderio del governo d’Israele. Ha ridotto il numero di attentanti da 450 a ZERO. Qualsiasi altro paese al mondo – anche l’Italia – se si fosse trovato nella stessa condizione, avrebbe agito nello stesso modo perchè spinto a difendere la sicurezza dei propri abitanti.