La diplomazia dei simboli e la minaccia nucleare iraniana

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Mario Del MonteEditor
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Medio Oriente

La diplomazia dei simboli e la minaccia nucleare iraniana

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La diplomazia è un’arte piena di simboli che a volte sostituiscono la sostanza, ne è un esempio l’ultima reazione degli Stati arabi del Golfo alla politica di apertura degli americani verso l’Iran. Molti degli alleati storici degli Stati Uniti hanno mostrato la loro contrarietà agli esiti del negoziato P5+1 sul nucleare iraniano non presentandosi all’incontro organizzato da Obama per ascoltare le loro rimostranze, altri invece hanno scelto di recarvisi nonostante non avessero un invito presidenziale per gridare forte le loro ragioni.

Tutto è cominciato il 3 Marzo quando Benjamin Netanyahu ha accettato l’offerta dello speaker Congresso americano Boehner di rivolgere un discorso critico verso l’amministrazione Obama pur non avendo la benedizione del Presidente. Offeso dalla provocazione, Obama ha scelto di non incontrarlo alla Casa Bianca e ha invitato i suoi uomini al Congresso a boicottare l’iniziativa. Nel suo discorso Bibi ha esaltato il rapporto tra Israele e Stati Uniti ma ha avvertito che i negoziati in corso avrebbero spianato la strada verso l’atomica agli iraniani. Questi circa tre mesi hanno dimostrato che gran parte del Congresso ha ben recepito le parole di Netanyahu, tanto che in seguito i Parlamentari americani hanno rivendicato il loro diritto a riesaminare qualsiasi accordo con la Repubblica Islamica.

Sorprendentemente anche l’Arabia Saudita, il maggiore alleato degli americani nella regione, ha espresso le stesse preoccupazioni degli israeliani. Secondo i sauditi un patto del genere li lascerebbe indifesi nei confronti di un Iran che già sta tentando in tutti i modi di destabilizzare il regno sunnita e che con il possesso dell’atomica si garantirebbe una certa impunità per le sue azioni aggressive nell’area mediorientale. Per questo il nuovo re Salman ha annunciato che l’Arabia Saudita potrebbe rispondere acquistando a sua volta la tecnologia nucleare per ottenere la bomba, mossa che anche altri Stati del Golfo stanno ora contemplando.

Il Summit organizzato dagli americani doveva appunto servire a placare gli animi e a rassicurare gli Stati sunniti. Obama aveva inoltre promesso un faccia a faccia con re Salman per chiarire ogni aspetto prima dell’incontro con tutti gli altri rappresentanti. Non solo Salman ha rifiutato ma ha convinto i suoi alleati a seguirlo: Emirati Arabi Uniti, Oman e Bahrein hanno inviato solo funzionari di basso livello dimostrando poca fiducia nelle rassicurazioni di Obama.

I diplomatici arabi si sono dimostrati molto più sottili di Netanyahu visto che non hanno criticato pubblicamente gli Stati Uniti ma l’opinione di tutti gli esperti di Medio Oriente è che il risultato è lo stesso: come gli israeliani, i sunniti sono convinti che l’amministrazione americana stia virando verso l’Iran nel delicato gioco di equilibri del Medio Oriente permettendogli di incrementare il suo supporto al terrorismo internazionale, non partecipando attivamente al summit americano hanno implicitamente richiesto a Obama una maggiore fermezza sul programma nucleare iraniano.

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