L’ex giornalista della Associated Press, Matti Friedman
L’ex giornalista della Associated Press che aveva denunciato il comportamento scorretto dei maggiori media internazionali nei confronti di Israele, Matti Friedman, è tornato con una nuova accusa. Questa volta Matti ce l’ha con la ONG Breaking The Silence, un’associazione a cui aderiscono alcuni soldati dell’esercito israeliano e che vuole mostrare come IDF, l’esercito israeliano, abbia più volte commesso crimini di guerra nella Striscia di Gaza e nei Territori Contesi. Interpellato dai suoi fan, Friedman ha postato sulla sua pagina Facebook ufficiale un breve articolo sulla natura di Breaking The Silence e noi di Progetto Dreyfus ve lo proponiamo tradotto in italiano.
“Mi è stato ripetutamente chiesto di parlare dell’ultimo report condotto da Breaking The Silence che è attualmente sulle prime pagine della stampa internazionale perché in linea con la favoletta per cui gli israeliani sono tutti dei criminali di guerra (mentre invece il report condotto da due esperti militari statunitensi, in cui invece Israele non viene accusato di nessuna azione infame, non è stato ritenuto una notizia meritevole di attenzione). Spero che le persone intelligenti abbiano smesso di prendere troppo sul serio la copertura della stampa internazionale su Israele ma ci sono comunque alcune importanti da rendere pubbliche.
1) La guerra è terribile e le persone che vi partecipano tornano a casa arrabbiate per ciò che hanno visto e fatto. Alcuni osservatori sono attendibili altri invece no. Alcune cose descritte nel report sono sicuramente vere altre invece no. I soldati di fanteria sono in fondo alla gerarchia di comando di un esercito e spesso non capiscono ciò che vedono o le ragioni per cui stanno compiendo determinate azioni. Le cose che non hanno senso per un soldato semplice o per un sergente certe volte (ma non sempre) sono molto più chiare se osservate attraverso gli occhi di qualcuno leggermente più in alto nella catena di comando. I soldati più giovani tendono a non capirlo, specialmente mentre sono in servizio o immediatamente dopo. Ad esempio, le regole di ingaggio in un particolare momento potrebbero apparire come troppo aggressive se avete una comprensione limitata di dove siete. Se si dispone di tutte le informazioni possibili (e nessun soldato le ha) si può capire ogni cosa. Un obiettivo bombardato per motivi sconosciuti potrebbe essere invece stato colpito per una buona ragione, oppure no. Non si può sapere tutto mentre si è in guerra, pensare che tutti siano a conoscenza di tutto è un errore macroscopico. Trarre conclusioni generali sul comportamento dell’esercito israeliano da testimonianze di questo tipo è quantomeno da irresponsabili.
2) I giornalisti professionisti che leggono questo report o altri simili dovrebbero chiedersi (e ovviamente non lo fanno): in confronto a cosa?? Le regole di ingaggio di IDF sono negligenti, in confronto a cosa? Le vittime fra i civili sono molte, in confronto a cosa? Vengono comparate a quelle provocate dagli Stati Uniti a Falluja? A quelle provocate dagli inglesi in Irlanda del Nord? A quelle provocate dai canadesi nella provincia di Helmand? Negligenti e molte sono due termini relativi. Se Israele viene confrontato con altri paesi in situazioni simili dobbiamo sapere cosa stiamo comparando. Altrimenti, al di là dei singoli casi, l’ampio criticismo è privo di significato.
3) Breaking The Silence viene descritta come un’associazione di veterani israeliani che vogliono rivelare la natura del comportamento di IDF nei Territori Contesi per avere un impatto politico sulla società israeliana. Questo è ciò che era molto tempo fa, quando svolgeva un ruolo importante. Ora è diventata qualcos’altro. Oggi, come B’Tselem e altre ONG, è un gruppo finanziato soprattutto da denaro europeo e che serve a fornire ai giornalisti internazionali quei luridi esempi di cattiveria israeliana di cui hanno bisogno. Non parlano più agli israeliani ma sfruttano piuttosto la natura loquace e trasparente degli israeliani per diffamarli. In realtà una soluzione abbastanza semplice a questo problema c’è. Qualsiasi gruppo in lotta per il carattere della società israeliana dovrebbe farlo solamente in ebraico, la lingua parlata dagli israeliani. Se si sta spendendo una grande quantità di energia e di denaro per tradurre il materiale in inglese e fornirlo ai giornalisti internazionali come sta facendo Breaking The Silence è lecito chiedersi quale sia l’obiettivo da raggiungere. Perché parlare alla stampa estera dovrebbe spostare l’opinione degli israeliani nella loro direzione? Ovviamente questo ha un effetto esattamente opposto. Finché la situazione sarà questa gli israeliani identificheranno giustamente il gruppo, e le sue organizzazioni sorelle, come persone pagate dagli stranieri per dire cose che gli stranieri vogliono sentirsi dire su Israele. Ancora peggio, gli israeliani continueranno a vivere senza una sinistra forte di cui hanno bisogno. Un israeliano è parte di Israele, si occupa di migliorare la società e non lo fa con atteggiamenti plasmati sull’ossessione ostile del pubblico straniero che nulla ha a che fare con i sentimenti della popolazione israeliana.”