Altri trecento Yazidi sono stati uccisi dallo Stato Islamico nel fine settimana. Si tratta dell’ennesima uccisione di massa perpetrata dagli uomini del Califfato contro la sfortunata minoranza etnica irachena. Lo riferisce alla BBC il partito progressista yazida dopo essere venuto a conoscenza dell’esecuzione di alcuni suoi membri nella prigione di Tal Afar, una città a circa centocinquanta chilometri dal confine orientale con la Siria.
Le notizie che arrivano dai media locali sono però contrastanti: secondo l’attivista Mahma Khalil ad esempio le persone giustiziate sarebbero “solo” venticinque, mentre fonti interne alle forze armate curde confermano le dichiarazioni del partito progressista yazida. Il vice presidente iracheno Osama al-Nujaifi ha definito l’atto una barbarie ingiustificata e ha lanciato un appello a tutte le forze in campo per liberare i prigionieri ancora in vita nel più breve tempo possibile.
Non è ancora chiaro cosa abbia scatenato le esecuzioni, secondo alcuni testimoni le violenze sarebbero avvenute semplicemente per spargere terrore nella popolazione e per obbligare alla conversione i non musulmani. Donne, bambini e anziani non sarebbero stati risparmiati dai feroci soldati dello Stato Islamico e ora si teme fortemente per gli oltre mille quattrocento Yazidi ancora detenuti nelle carceri controllate dall’ISIS. La situazione delle donne è particolarmente grave vista l’atroce usanza degli estremisti islamici di renderle schiave sessuali per i guerriglieri.
Molti Yazidi sono prigionieri dallo scorso Agosto quando le milizie nere catturarono la città di Sinjar. In quell’occasione in migliaia riuscirono a fuggire grazie all’aiuto della comunità internazionale ma un numero consistente rimase intrappolato nelle montagne appena fuori la città al confine tra Siria e Iraq ed è tutt’ora in balia dello Stato Islamico le cui regole stabiliscono che qualsiasi non musulmano sunnita meriti la morte o sia costretto almeno a pagare delle speciali tasse per poter risiedere sul territorio.