Passeggiavo all’interno di una libreria della mia città, quando la mia attenzione si è concentrata completamente sul titolo di un libro dalla copertina molto forte: “L’inferno dentro. Confessioni di un collaborazionista”, scritto da Moreno Gentili.
Incuriosita e, a dir la verità, anche un po’ scioccata, mi avvicino per saperne di più. Gentili è uno scrittore che da tempo svolge ricerche storiche in merito ai crimini contro l’umanità, quindi questo libro non può che essere frutto di un lungo e ricercato lavoro. Mi soffermo anche su altre due persone che hanno collaborato in questo manoscritto: Claudia De Benedetti ha curato l’introduzione ed Elio Carmi il commento sulla propaganda. Colma di curiosità decido di acquistarlo. Mai avrei immaginato che con quel libro si sarebbero aperte tante piccole finestrelle nella mia mente. A fine lettura sento un forte dolore, misto a rabbia, dentro di me. A quanto pare la storia non insegna sempre e ci sono persone, come in questo caso il collaborazionista che si confessa allo scrittore, che non vogliono dimenticare ciò in cui hanno creduto. E rifarebbero tutto quel male a poveri innocenti? A quanto pare, sì. È questo che mi fa venire maggiormente i brividi, ma andiamo per piccoli passi e vi spiegherò tutto.
“Mentre i testimoni diretti lentamente ci lasciano, dopo aver assolto il compito doloroso di trasmettere alle generazioni successive il ricordo della Shoah, si avverte il pericolo della perdita del carattere specifico di quella tragedia, che rischia di trasformarsi in un generico emblema della malvagità umana, un’etichetta che può essere applicata a qualunque violenza o dolore collettivo”, e già queste parole di Claudia De Benedetti racchiudono il significato che la Shoah ha per l’umanità intera.
L’inferno dentro è la storia di un uomo e delle colpe commesse durante la sua collaborazione con il nazifascismo a Berlino e a Trieste. Un uomo consapevole delle proprie responsabilità, fedele alle proprie scelte e agli ideali di un disegno che ha cambiato per sempre la percezione di noi stessi e dell’umanità. Ludwig – questo lo pseudonimo scelto – emigra come medico da Trieste a Berlino agli albori del regime hitleriano per sperimentare e applicare gli studi sulla genetica a fini razziali. Nel 1943, dopo la caduta di Mussolini, rientra in Italia per aderire alla Repubblica di Salò e collaborare con il nazismo nella Risiera di San Sabba a Trieste, unico lager italiano dotato di un forno crematorio utile a sopprimere gli oppositori del regime fascista, fossero questi italiani, stranieri, partigiani, prigionieri politici, omosessuali, zingari o ebrei.
Il libro di Gentili ricostruisce così la storia di un carnefice che riporta alla luce fatti e persone di una guerra ormai lontana, ma ancora troppo vicina per essere dimenticata. Il protagonista è morto da alcuni anni, mai pentito, ha vissuto sempre a cento metri dalla Risiera di San Sabba. Sono rimasta sconvolta dalle contorsioni d’animo che questo assassino presenta, non pentendosi di ciò che ha fatto e “giustificando” i suoi “buoni ideali” e le sue aberranti ragioni. Un uomo che si definisce medico. Ma un medico cerca di dare vita, non la annienta.
Gentili, affrontando la sfida terribile di calarsi nell’inferno dell’anima di un carnefice, di rendere esplicito il modo in cui la «gente normale» giustifica a se stessa i crimini più atroci, spiega con paurosa chiarezza l’unicità della Shoah e il suo ambiguo legame con la cultura europea.
Un libro che, nella sua atrocità, sicuramente andrebbe letto. Un assassino? Un incosciente? Un uomo tradito? Chi era “Ludwig”? “Forse tutte le cose insieme”, conclude lo scrittore lasciandoci a bocca aperta. A noi la scelta.