“Il cattivo accordo” e il prezzo da pagare per sabotarlo

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Mario Del MonteEditor
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“Il cattivo accordo” e il prezzo da pagare per sabotarlo

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Dopo mesi di attesa finalmente Netanyahu ha tenuto il suo discorso al Congresso degli Stati Uniti e il risultato, come ampiamente previsto da molti analisti, sarà probabilmente un inasprimento dei rapporti già tesi con l’amministrazione Obama. Non è chiaro quali effetti avrà il discorso sulle elezioni che si terranno in Israele fra due settimane ma è facile immaginare che molti degli indecisi si staranno chiedendo se, in un momento di crisi come questo, il leader del partito di opposizione Herzog sarà in grado di tenere in pugno l’organo legislativo più importante del mondo così come ieri ha fatto il Primo Ministro in carica parlando di una questione che sta molto a cuore all’opinione pubblica.

Sebbene in modo diplomatico, le parole di Bibi sono state essenzialmente un assalto alla politica estera di Obama. Dopo aver ringraziato e lodato il Presidente degli Stati Uniti per ciò che fa e ha fatto per Israele si è lanciato in una profonda e critica disamina dell’atteggiamento degli USA nei confronti dell’Iran, in cui è evidente un errore di valutazione sulla sua ideologia, sui suoi obiettivi e sull’immenso pericolo che questo può porre alla stabilità mondiale. Questo errore di valutazione è alla base del “cattivo accordo” che potrebbe emergere dai negoziati per il nucleare iraniano e che per gli israeliani è fonte di grave preoccupazione.

Nonostante le critiche piovute da tutte le parti, soprattutto per il momento in cui arriva questo discorso, ovvero a poche settimane dalle elezioni, Netanyahu sembra aver centrato l’obiettivo principale della sua missione negli States: fare pressione sul Congresso e sull’opinione pubblica americana per massimizzare la sua capacità di far saltare il patto con l’Iran preparato da Obama. Mentre circa 50 senatori si sono assentati, il resto del Congresso era li ad annuire ad ogni riflessione del Primo Ministro israeliano riguardo all’ideologia e alle mire strategiche e territoriali dell’Iran, dando l’impressione, applaudendo e regalando almeno sei standing ovation, di essere stato conquistato da Netanyahu. Le accuse di cinismo politico e di opportunismo elettorale Bibi le ha zittite cercando di convincere gli americani che l’Iran è determinato a portare a termine la sua opera di dominio egemonico nella regione e che un “ombrello nucleare” permetterebbe agli ayatollah di considerarsi immuni da qualsiasi rovesciamento di potere. Il nodo centrale per Netanyahu però è quello di sottolineare la volontà degli iraniani di distruggere Israele una volta per tutte.

La prima risposta ufficiale dalla Casa Bianca, affidata ad un funzionario anonimo, asserisce che nessuna nuova proposta concreta è stata avanzata da Netanyahu e che il suo discorso è stato tutta retorica e niente azione. In realtà Bibi una proposta l’ha fatta, ha esortato i potenti della Terra a riconsiderare il negoziato e fare pressione per ottenerne uno migliore, anticipando anche che gli iraniani potrebbero minacciare di sospendere i colloqui ma che si tratta di un bluff in quanto loro stessi hanno molto più bisogno dell’accordo di quanto ne abbia l’Occidente. Se davvero il Segretario di Stato John Kerry ha confermato che quando l’accordo scadrà l’Iran potrebbe avere 190,000 centrifughe per l’arricchimento dell’uranio, se i termini dell’accordo potrebbero portare l’Iran a completare il programma nucleare in un anno o due,  se la garanzia dei termini è affidata agli ispettori della AIEA che sono facilmente ingannabili, se nessuna menzione è fatta al programma missilistico con cui l’Iran potrebbe colpire qualsiasi angolo della terra, allora si può veramente parlare di un “cattivo accordo” e Netanyahu ha fatto bene a rischiare di alienarsi il governo americano in carica pur di provare ad intervenire tempestivamente. Obama ha ancora due anni di presidenza ma per come la vede il Primo Ministro israeliano un accordo del genere minaccerebbe l’esistenza dello Stato ebraico per molto di più di una legislatura.

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