Gaza, Hamas consegna altri tre ostaggi a Israele

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In base agli accordi altri ostaggi sono stati rilasciati da Hamas e hanno fatto ritorno in Israele: Keith Siegel, israelo-americano di 65 anni, Ofer Calderon, israelo-francese di 54 anni, e l’israeliano Yarden Bibas, 35 anni.

Siamo alla terza di tappa di un rilascio in cui continua a prevalere la volontà di spettacolarizzazione da parte dei terroristi di Hamas e la totale inadeguatezza della Croce Rossa, sempre più in balia dei carnefici del 7 ottobre.

A colpire al cuore, questa volta, è stato il volto Yarden Bibas marito di Shiri e padre dei loro due figli Ariel, 5 anni, e Kfir, 2 anni, anch’essi nelle mani dei terroristi. Dal giorno del rapimento non si hanno notizie e i due piccoli, loro malgrado, sono divenuti tra i volti più noti di quel maledetto sabato di quasi un anno e mezzo fa.

Quello di Yarden Bibas è stata una liberazione diversa, e se vogliamo esclusivamente fisica, visto che la sua mente e il suo cuore sono rivolti alla sorte dei propri caro.

Nel breve comunicato la famiglia Bibas ha scritto:

“Yarden è tornato a casa ma in una casa che resta incompleta. Yarden è un padre, sopravvissuto alla prigionia e tornato ad una insostenibile realtà. Continuiamo a pregare per il ritorno di Shiri e dei bambini”.

Dal comunicato dei Bibas a quello dei Siegel, che ha rivelato l’ennesima crudeltà di Hamas che ha costretto l’ex ostaggio israelo-americano Keith è a scrivere una lettera di ringraziamento ai suoi carnefici per esser stato trattato bene e per aver ricevuto:

“Cibo e bevande, medicine, vitamine, collirio, un misuratore di pressione sanguigna e altro ancora”.

Il sito di news Walla fa notare che la lettera è stata verosimilmente dettata a Siegel in arabo tanto che alcune parole, tra cui “vegetariano”, sono scritte in arabo anziché in ebraico.

Non escludiamo che ci sia qualche odiatore antisemita che crederà alla fandonia dell’etica carceraria di Hamas.

Hamas non perde occasione per far soffrire ancora di più gli ostaggi e i suoi famigliari, nonché a voler scrivere l’ennesima pagina di una stancante narrativa palestinese.

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