La proposta di intervento militare in Libia avanzata dall’Egitto alle Nazioni Unite non è andata a buon fine, alla fine ha prevalso l’opinione per cui prima di qualsiasi raid aereo c’è bisogno di una “soluzione politica” alla minaccia ISIS in Nordafrica. L’elefantiaca burocrazia ONU sembra però non aver capito che i suoi tempi sono agli antipodi rispetto a quelli della Jihad islamica che ogni giorno mette le proprie radici sempre più vicino all’Europa e minaccia Roma, la città simbolo della civiltà cristiana ed europea.
I raid condotti dall’Egitto in territorio libico non sono una mera rappresaglia per i 21 cristiani copti sgozzati, sono anche un forte avvertimento a tutta quella parte di Occidente che non ha ancora capito quanto siano vicini i terroristi islamici. Se nulla verrà fatto per fermare l’avanzata delle milizie ISIS in Libia l’Europa dovrà fare i conti con un altro Califfato che, sulla scia di quanto già accaduto in Siria, porterà ad un flusso incredibile di rifugiati che molti degli Stati Membri, Italia in primis, non sono in grado di assorbire senza danneggiare la propria economia e senza minare la stabilità sociale già messa a dura prova dalle politiche di austerità.
Eppure dopo la barbara uccisione del pilota giordano nessuno ha richiesto una “soluzione politica” per lo Stato siriano, anzi i bombardamenti condotti da re Abdallah in persona hanno riscosso un certo consenso a livello globale. L’Egitto invece non ha ricevuto nessun tipo di supporto dall’Occidente, chiuso a tenaglia fra gli insorti nella Penisola del Sinai e la vicina Libia in totale anarchia. Sui giornali europei il focus maggiore, per quanto riguarda la nazione delle piramidi, è stato quello sulle proteste contro il generale al-Sisi, reo di un eccessivo pugno di ferro nei confronti dei sostenitori della Fratellanza Musulmana. In pochi si sono accorti che tutt’ora, nonostante la minaccia terroristica che incombe sul paese, gli Stati Uniti impongono un parziale embargo sugli armamenti all’Egitto, specialmente quelli relativi all’aeronautica militare, a causa della situazione umanitaria. Soffermando lo sguardo su Giordania, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e altri Stati arabi che partecipano alla coalizione internazionale in Siria, non si può dire che in questi paesi ci sia un maggiore rispetto dei diritti umani rispetto all’Egitto, il che fa pensare ad un semplice colpo basso nei confronti del Presidente al-Sisi, il quale ha già dimostrato una certa inclinazione al dialogo con Vladimir Putin.
L’Egitto non è nelle condizioni di aspettare questa benedetta soluzione politica: lo Stato Islamico mette solide radici in Libia, altre organizzazioni terroristiche affiliate ai Fratelli Musulmani indeboliscono la nazione dall’interno sia sotto il profilo della stabilità sociale che sotto quello della ripresa economica. Attendere che anche l’Egitto, la nazione più antica del mondo arabo, diventi uno Stato “fallito” dopo Libia, Somalia, Iraq, Siria e Yemen sarebbe un errore madornale per l’Occidente.
A mancare però non è solo il supporto Occidentale ma anche quello degli altri Stati arabi: l’iniziale assenso alle operazioni militari egiziane è stato revocato prima dalla Lega Araba e poi dal Consiglio di Cooperazione del Golfo dopo le pressioni del Qatar. Una spiacevole sorpresa per l’Egitto che contava soprattutto sull’Arabia Saudita e sugli Emirati Arabi Uniti, suoi principali fonti di supporto finanziario e militare, ma che non stupisce viste le numerose accuse di sostegno alle milizie islamiche ricevute dal Qatar negli ultimi anni. Tutto questo mentre il mondo arabo è alla disperata ricerca delle soluzioni ai tre principali problemi dell’area: lo Stato Islamico, le organizzazioni terroristiche e sovversive sciite in attività in Siria e in Yemen e il programma nucleare iraniano, percepito come una minaccia non solo da Israele ma da tutti i suoi vicini.
Alla luce di queste considerazioni è quantomeno curiosa la politica intrapresa dall’amministrazione Obama. Una simpatia neanche troppo velata nei confronti dei Fratelli Musulmani, l’indisponibilità a confrontarsi pienamente con lo Stato Islamico e la volontà di concludere un accordo sul nucleare con l’Iran mettono l’Egitto nella scomoda posizione di dover cercare altrove degli alleati fidati. Primo fra tutti Vladimir Putin, felicissimo di far rimettere un piede in Medio Oriente alla Russia dopo la fine della Guerra Fredda, ma anche la Francia, la cui economia beneficerebbe della vendita di costosi armamenti militari.
Dalla pace con Israele in poi Stati Uniti ed Egitto hanno stabilito solidi rapporti di cooperazione che hanno portato grandi vantaggi ad entrambi i paesi: lo Stato Nordafricano ha ricevuto una sostanziosa assistenza militare mentre gli USA avevano una base in cui far transitare navi e aerei da guerra per le operazioni nel Golfo Persico. Ora che questa partnership sembra svanita nel nulla al-Sisi si ritrova solo a combattere contro terroristi le cui sigle sono diverse ma che sono sostanzialmente uniti nella sfida al mondo Occidentale e a suoi valori portanti.