La vicenda del giovane Ilan Halimi è stata una tragedia orribile che ha scosso l’intera nazione francese, per molti ebrei nel mondo è una ferita ancora aperta perché rappresenta in pieno il nuovo antisemitismo, diverso da quello dei totalitarismi del ‘900 ma non per questo meno terrificante.
Siamo nel Gennaio 2006, le banlieu francesi sono tornate di nuovo tranquille dopo un periodo di proteste molto violente che aveva lasciato il paese con il fiato sospeso. Il caso più shockante però doveva ancora essere svelato: Ilan, ragazzo ebreo di 23 anni, viene rapito da quella che si fa chiamare “gang dei barbari” e torturato fino alla morte. Naturalmente Ilan Halimi non è stato il primo (e nemmeno l’ultimo) ebreo ucciso in Francia esclusivamente a causa della sua religione, il caso però è diventato così importante nelle coscienze degli ebrei europei per l’efferatezza del delitto e per l’incredibile silenzio di chi sapeva cosa stava accadendo.
La morte di Ilan è stata lunga e dolorosa, la sua storia comincia Venerdì 20 Gennaio quando, dopo la cena di Shabbat, esce di casa per raggiungere una ragazza con cui aveva un appuntamento. Non poteva sapere che Sorour Arbabzadeh era un’esca reclutata da Youssouf Fofana, il capo della gang di assassini, per tendergli un’imboscata. Halimi è stato picchiato, legato e gettato in un’appartamento della periferia parigina di Bagneux, il cui amministratore era complice, dove per 24 giorni è stato oggetto di violenze da film dell’orrore. Quasi subito hanno smesso di dargli da mangiare, sapevano che non sarebbe servito a nulla, la sua sorte era già segnata dal momento in cui era stato catturato. Ilan fu ritrovato vicino a una linea ferroviaria nudo, ammanettato e ricoperto di ferite inferte con un coltello e ustioni di terzo grado.
Soffermarsi sulle torture subite dal ragazzo sarebbe anche giusto, se non altro per rendergli giustizia, ma c’è qualcosa che è più importante segnalare oggi che sono passati 9 anni dal suo ritrovamento, quel silenzio di tutto il quartiere, di tutti i vicini di casa che sicuramente sentivano le urla di dolore del ragazzo, di quelle circa 50 persone che la giustizia francese ha riconosciuto come complici sebbene con responsabilità diverse. La passiva indifferenza di alcuni combinata con il freddo sadismo degli esecutori materiali fece sorgere una domanda scomoda quanto spontanea: le periferie francesi sono diventate una zona franca? Il caso Halimi sarebbe stato possibile se la polizia non avesse deciso da tempo di rinunciare a mantenere l’ordine in zone come Bagneux? Le circa 700 telefonate intimidatorie di Fofana alla famiglia della vittima durante i 24 giorni di rapimento sono sintomo del maniacale odio che le banlieu abbandonate a se stesse sono in grado di generare. Alla luce delle rocambolesche fughe di Mohamed Merah a Tolosa e dei fratelli Kouachi a Parigi, difficilmente attuabili senza la complicità di alcune comunità islamiche locali visto il massiccio impiego di uomini della polizia francese nelle ricerche , è lecito affermare che la Francia sta vedendo nascere una società separata sul suo stesso territorio? Una società per metà basata sull’ideologia dell’Islam medievale e l’altra metà devota al culto della violenza del nostro secolo, intreccio pericoloso oggi e forse ancor di più domani quando questo fenomeno potrebbe esplodere in un vero e proprio movimento che miri a sovvertire l’ordine statale.
L’antisemitismo di Fofana è quello genuino che fa parte di certi ambienti islamici: apparentemente inspiegabile per un Occidentale, è dato per scontato da molti suoi correligionari ormai abituati alla logica dell’ebreo nemico potente, ricco perché succhia soldi allo Stato, da eliminare perché infedele e corrotto. Eppure le autorità francesi hanno provato in tutti i modi a negare che si trattasse di un crimine a sfondo religioso fin dal primo giorno del rapimento, una negazione che ha destato negli ebrei di tutto il mondo stupore e frustrazione. Per un essere pensante è difficile credere che il caso Halimi fosse slegato dalla sua fede, che si trattasse solo di criminalità comune.
La ragione principale per cui lo Stato ha cercato di negare l’evidenza l’ha svelata il processo nei confronti di Fofana nel 2009. L’aggravante di antisemitismo avrebbe dovuto aumentare la pena nei confronti di Fofana ma sull’assassino pendeva già la condanna all’ergastolo, il massimo per l’ordinamento francese. Paradosso incredibile: il giudice riconosce che l’accusa di antisemitismo è fondata ma legalmente ha dovuto ignorarla. La soluzione poteva essere quella di usare l’aggravante anche contro tutti i suoi complici innalzando le pene comminategli, ma il giudice non era pronto a fare un simile passo. Alla fine in appello ai complici venne aumentata la condanna da 6 mesi a 18 anni, ma questo non fece altro che scatenare le reazioni dell’opinione pubblica francese. “Gli ebrei possono chiedere e ottenere qualunque cosa vogliono?” “Allora Fofana aveva ragione a dire che sono potenti!”, questi i commenti alla fine del processo. Un’inversione totale che si svolse in un contesto storico in cui nelle dimostrazioni di piazza francesi si sentivano intonare i canti tradizionali di Hamas, in cui gli esponenti politici dell’epoca affermavano esplicitamente che gli ebrei si intromettevano negli affari dello Stato.
Negare l’antisemitismo per far sì che fossero gli ebrei a reclamare giustizia è stato il modo in cui lo Stato francese ha distolto l’attenzione dai suoi problemi endemici legati alla cittadinanza degli immigrati dalle colonie, alla sua incapacità di assicurare l’ordine pubblico in alcune zone del paese, al razzismo dei suoi abitanti. Ruth Halimi ha concluso la sua testimonianza al processo affermando che “la Shoah sta per iniziare di nuovo”, il giudice Bilger rispose sul suo blog con 2 parole: “restiamo calmi.” Travolto da politica pro araba, disordine interno e criminali spietati come Fofana probabilmente non si accorse dell’inizio della solitudine civile a cui gli ebrei francesi sono stati costretti fin da allora. Le tappe successive sono state Tolosa e Portes de Vincennes, la comunità ebraica francese deve ancora “restare calma”?