Le guerre moderne si combattono sul piano propriamente militare, ma anche su quello economico, diplomatico e dell’informazione (o della disinformazione). Questa molteplicità di fronti vale anche per il conflitto provocato dall’enorme e crudelissimo massacro compiuto il 7 ottobre in Israele dai terroristi di Hamas, Jihad Islamica, “martiri di Al Aqsa” (il braccio militare di Fatah) e altri gruppi minori.
Uno dei momenti più importanti della guerra informativa, un vero e proprio caso di scuola per la disinformazione, è avvenuto la sera del 17 ottobre, dopo che nel tardo pomeriggio si era avuta un’esplosione nel parcheggio dell’ospedale Ahli di Gaza City, che aveva provocato alcune decine di vittime.
Come ha dimostrato la registrazione di un’intercettazione telefonica pubblicata da Israele il giorno dopo, i terroristi si resero conto immediatamente che l’origine dell’incidente era un razzo “nostro”. Di fatto, come Israele ha mostrato con abbondante documentazione video e informatica, l’impatto è stato provocato da un missile lanciato da Gaza contro Israele (probabilmente dal gruppo terrorista della Jihad Islamica), ricaduto subito dopo il lancio sul territorio della Striscia, come accade per circa il 20% dei razzi sparati dai terroristi, e in particolare nel cortile dell’ospedale.
Le fotografie del luogo pubblicate la mattina dopo fanno vedere un cratere di impatto piccolo e allungato, un orientamento verso nord est, la mitraglia proiettata sulle macchine circostanti: tutti dettagli che dimostrano senza possibilità di equivoco che si trattava di un tipico razzo usato dai terroristi, e non di una bomba di aereo, che produce tutt’altre conseguenze.
Ma i responsabili di Hamas cercarono immediatamente di sfruttare l’incidente nella guerra informativa contro Israele. Lo fecero innanzitutto negando la loro responsabilità, di cui erano perfettamente consapevoli, come abbiamo visto, e attribuendola a Israele. Ma poi vi aggiunsero anche altre menzogne.
La seconda, dopo quella sull’origine del proiettile, è lo spostamento del luogo dell’esplosione dal parcheggio all’ospedale stesso. Si tratta di una mossa abituale della disinformazione di Hamas: dato che i loro lanciarazzi, centri di comando e depositi di armi sono quasi sempre sistemati in zone fittamente popolate, vicino a scuole, ospedali, moschee, se non nei sotterranei di queste istituzioni, il che è fra l’altro proibito dalla legge internazionale, Israele si trova spesso obbligato a colpirli con grande attenzione nelle loro immediate vicinanze, badando a evitare di centrare i luoghi civili. Ma la propaganda dei terroristi colloca il colpo nell’edificio che Israele invece non ha colpito. Così è accaduto per esempio con l’antica chiesa greco-ortodossa di San Porfirio, data tre volte per bombardata nelle ultime settimane, con tanto di abbondanti numeri di vittime, mentre quel che è stato colpito sono istallazioni militari illegali vicino ad essa e l’edificio religioso è ancora intatto, come è stato abbondantemente documentato da immagini. Questa volta però il bombardamento israeliano non c’era stato affatto.
La terza menzogna riguarda il numero delle vittime, che dalla decina che si vedono nelle stesse foto trasmesse da Hamas, o dalle poche decine che potrebbero essere state coinvolte nel parcheggio ma (chissà perché) escluse dalla fotografia, sono diventate nella propaganda terrorista 500 e passa.
Il risultato di questa montatura è stata una comunicazione micidiale: Israele bombarderebbe gli ospedali di Gaza, provocando stragi paragonabili per numero a quella subita il 7 ottobre e dunque si metterebbe così se non dalla parte del torto, a pari demerito coi terroristi. Rovesciare specularmente il torto è una tipica mossa propagandistica, usata molto di frequente dai terroristi palestinesi: non sono loro a sterminare e distruggere, ad uccidere i bambini, a bombardare coi razzi città e villaggi abitati solo da civili, ma è Israele o anche semplicemente gli ebrei a compiere atrocità nei loro confronti.
Un’ovvia prudenza indurrebbe a diffidare di queste mosse propagandistiche, prodotte fra l’altro da un movimento che non ammette nessun dissenso o verifica delle sue affermazioni nel territorio che controlla. Nel giro di poche ore i principali governi occidentali hanno respinto la propaganda di Hamas. Ma la bufala dell’ospedale Ahli è stata accettata immediatamente senza beneficio di inventario dai maggiori media mondiali e anche italiani. All’estero i più importanti mezzi di comunicazione come il New York Times e la BBC hanno immediatamente rilanciato la menzogna di Hamas, tenendola in piedi fino a quando perfino il presidente degli Stati Uniti Biden ha dichiarato che aveva avuto le prove che il colpo non fosse di Israele e venisse “dall’altra parte”.
E solo qualche giorno dopo il più grande e “autorevole” quotidiano americano e la mitica emittente britannica hanno pubblicato rettifiche formali, in cui riconoscevano di aver sposato senza verifiche la propaganda di Hamas. In Italia la menzogna di Hamas è stata immediatamente rilanciata da tutti i maggiori quotidiani, non solo quelli apertamente anti-israeliani come “Manifesto” e “Fatto quotidiano”; e in televisione la bufala è stata subito proposta in diretta dai telegiornali e da numerosi talk show, perfino da un giornalista esperto come Bruno Vespa.
Poi molti hanno cambiato progressivamente versione, via via che si accumulavano le prove sull’effettivo svolgimento dei fatti. Precisazioni e smentite formali però non sono arrivate: si tratta di un’abitudine di correttezza usuale nel mondo anglosassone, che da noi quasi non esiste. È probabile però che nell’opinione pubblica che i media contribuiscono potentemente a costruire, anche questa menzogna abbia lasciato tracce consistenti. E val la pena di notare che l’altoparlante che più ha diffuso le fake news non è stato internet o i social media, dove le prove israeliane hanno avuto modo di diffondersi, ma i proprio i giornali e la televisione, i media che si propongono come modello di comunicazione etica e controllata.
Perché è accaduto questo disastro informativo? Ci sono tre ragioni principali.
La prima è la crescente propensione dei media per le notizie clamorose, per qualunque cosa possa fare scandalo e attrarre l’attenzione, alzando l’audience. È un atteggiamento che è diventato nell’ultimo periodo il motore patologico di molte trasmissioni televisive che cercano di attrarre pubblico facendo sceneggiate e dando spazio a vere e proprie maschere, che sarebbero impresentabili in qualunque normale dibattito.
La seconda è la polarizzazione di queste trasmissioni ma anche di molti giornali in senso fortemente anti-occidentale: l’odio per gli stati democratici (di cui Israele fa parte) che vi dilaga, anche per ragioni di politica interna, per polemica antigovernativa.
La terza ragione, la più oscura, è il riemergere di stereotipi antisemiti che si annidano ancora profondamente nell’inconscio collettivo dell’Italia e dell’Europa e che progressivamente si stanno sdoganando e acquistano legittimità anche con questi episodi. Una reazione di denuncia e di rifiuto è assolutamente necessaria a questo punto, perché è evidente che buona parte dei media fanno oggi il possibile per produrre odio contro Israele e contro gli ebrei.