Quando ieri la mano terroristica ha fatto esplodere due bombe a Gerusalemme, uccidendo il del 16enne israelo-canadese Aryeh Shechopek, studente in Yeshivà (scuola di studi ebraici) e causando il ferimento (anche grave) di diverse persone, un altro episodio ha fatto innalzare il livello della tensione.
Tiran Fero, un ragazzo druso-israeliano di 17 anni, abitante a Dilyat HaCarmel, sopra Haifa, è rimasto gravemente ferito in un incidente stradale a Jenin e portato in ospedale, dove si sono precipitate decine di terroristi palestinesi per rapirne il corpo.
Un’azione terroristica terribile avvenuta perché i terroristi palestinesi credevano che il ragazzo fosse un militare israeliano sotto copertura. Un’occasione “ghiotta” per effettuare un rapimento e avere un ostaggio per un possibile scambio con lo Stato ebraico.
Ripetiamo: un gruppo di terroristi palestinesi ha fatto irruzione in un ospedale di Jenin per rapire quello che pensavano fosse un militare israeliano, di cui era stata dichiarata la morte clinica. L’hanno staccato dal respiratore e l’hanno portato via.
Un episodio raccapricciante rimasto tutt’altro che indifferente presso la comunità drusa, una popolazione araba, che vive anche in Libano e Siria, che presta servizio militare in Israele e ha buoni rapporti anche con i palestinesi.
Comunità che ha minacciato ritorsioni se il corpo di Tiran Fero non fosse stato restituito. Dopo 30 ore di trattative, la mobilitazione drusa ha “convinto” i palestinesi e il povero ragazzo è tornato a casa.
Lo zio di Tiran non ha usato mezze parole contro i terroristi palestinesi e ai media israeliani ha detto:
“Questo è un omicidio, è un attacco terroristico. Mio nipote era sedato e attaccato alle macchine”.
Quanto accaduto a Jenin è di una gravità assoluta.
Perché ha contribuito a innalzare la tensione dopo una giornata già “calda” dopo gli attentati a Gerusalemme.
Dopo questo rapimento ci sarà ancora chi, anche in Italia, suggerisce che per la pace in Medio Oriente si deve parlare con questi criminali?