“Non abbiamo bisogno di altri monumenti che commemorano gli ebrei assassinati in Europa, abbiamo bisogno di un impegno forte e duraturo per salvaguardare gli ebrei che vivono in Europa. Tra poche settimane, diventerò nonno per la prima volta. Mi addolora sapere che mia nipote nascerà in un mondo macchiato ancora dall’antisemitismo. “
Queste le parole dell’Ambasciatore di Israele presso le Nazioni Unite durante la prima e storica conferenza sull’antisemitismo all’Assemblea Generale dell’ONU.
Questo organo internazionale è nato nel dopoguerra per porre la basi affinché ciò a cui si era assistito durante la Shoah non dovesse più ripetersi, salvo poi lavarsene le mani per sessanta anni e lasciare gli ebrei di tutto il mondo in balìa di nuove e vecchie forme di antisemitismo. Nella memoria collettiva degli ebrei è ancora nota, ad esempio, la risoluzione non vincolante approvata nel 1974 dalla stessa Assemblea Generale (poi annullata nel 1991) che paragonava il sionismo al razzismo.
Per questo lo Stato di Israele si è fatto capofila di altri trentasette Paesi per presentare alle Nazioni Unite l’invito a rispondere al pericoloso picco di antisemitismo. Ciò che si richiede all’Assemblea Generale è svolgere un ruolo centrale nella lotta all’odio anti ebraico e ad ogni forma di discriminazione basata sulla fede religiosa. La dichiarazione presentata all’ONU esorta tutte le Nazioni ad esprimere il proprio ripudio per l’antisemitismo, a rafforzare le leggi contro gli atti discriminatori e a perseguire i responsabili dei crimini antisemiti. In altre parole, i firmatari della dichiarazione sostengono sia finito il tempo dei discorsi, per dare spazio ad azioni concrete affinché gli ebrei nel mondo si possano sentire protetti.
Ad attendere la conferenza, ospite del World Jewish Congress, il rabbino Yaacov Monsonego, il padre della bambina di otto anni che perse la vita nell’attentato alla scuola ebraica di Tolosa nel 2012. Prima di recarsi alla sede delle Nazioni Unite, Monsonego ha fatto una sosta al Grand Central Terminal; “Lì ho visto qualcosa di eccezionale nella sua semplicità” – ha affermato – “gli ebrei indossano la kippah senza esitazione, senza doversi preoccupare della propria incolumità”.
Da parte sua, il Segretario Generale dell’ONU Ban Ki-moon ha spiegato che il conflitto mediorientale non deve essere utilizzato come pretesto per azioni violente; ma dopo la botta all’incutine, ecco quella al martello: “Le critiche alle azioni di Israele non devono essere respinte come antisemite”.
Con queste affermazioni Ban Ki-moon dimentica che l’esclusione di Israele dalla World Conference on Racism’s Durban Declaration del 2001, le 57 condanne contro lo Stato ebraico del Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU dal 2006 al 2015 (50 volte più di Iran, Siria, Corea del Nord…), le accuse di Apartheid, il bollare ogni sforzo israeliano contro il terrorismo come “reazione sproporzionata”, non sono affatto critiche contro il Governo di Gerusalemme, ma veri e propri attacchi all’esistenza stessa dello Stato d’Israele in quanto tale.
L’unico Stato rifugio che applica politiche e operazioni volte a salvare tutti gli ebrei perseguitati nel mondo.