La tua morte ci ha colto di sorpresa. Dopo l’incidente accaduto a Gerusalemme anni fa, passato un primo periodo, sei tornato a essere lo stesso. Se cerco una frase dei Hachamim che meglio ti descrive tu sei sempre stato “Tochò kevarò”, internamente ed esternamente identico. Non hai mai avuto timore di dire ciò che pensavi di fronte a ogni evento e a ogni persona, anche la persona più autorevole. Ma tu sapevi dire ciò che pensavi con un’affabilità tutta tua anche quando il tuo interlocutore avrebbe potuto reagire male, perchè tu sapevi sempre da quale lato prenderlo.
La tua morte mi ha colto di sorpresa perché sentivo il bisogno di incontrarti e di condividere molte cose, come abbiamo fatto molte volte nelle nostre passeggiate dopo la fine della Tefillà: sia che fosse Shabbat sia che fosse durante un digiuno. Da quando avevi lasciato Via Catalana per venire ad abitare a pochi metri da dove abitavamo noi (davanti alla casa del Morè Eliseo z”l (Zichronò Livrachà, che il suo ricordo sia in benedizione) tuo grande partner nella Hazanut al Tempio Maggiore), le occasioni sono state numerose.
Voglio però ricordare un primo momento particolare quando, assieme a Rav Shmuel Altalef zz”l (Zecher Zadik Livrachà, sia il ricordo di un Giusto in benedizione), sei venuto a prelevarmi al Pensionato rabbinico per portrami a casa da mia madre che aveva appena avuto la notizia della morte di mio padre Eliahu z”l.
I nostri discorsi spaziavano dall’analisi dei vari minhaghim (lui era amante del minhag romano sul quale ha fatto la tesi quando anni dopo il titolo di Maskil decise di riprendere gli studi per completare gli studi al Collegio Rabbinico) e dal ricordo di Rabbi Prato z”l e del nostro comune maestro Rav Elia Samuel Artom zz”l, e dei suoi insegnamenti. Fortemente legato a Rabbi Prato per quanto aveva fatto per lui tanto da poterlo considerare suo padre dopo che aveva perso il padre nella deportazione nazista. Haim amava l’ironia e talvolta imitava Rav Artom quando c’era qualcosa che non lo convinceva. Era fiero proprio del fatto che Rav Artom nel suo lungo periodo di attività a Roma diceva che nessuno leggeva la parashà in maniera così precisa e perfetta come lui. In effetti Haim era un Hazan nato capace di trascinare il pubblico con la sua voce tonante e sempre entusiasta.
Ricordo che andai assieme a lui a trovare all’ospedale un uomo morente: parlò con lui e lesse con lui lo Shemà e gli trasmise la consapevolezza che diceva solo lo Shemà non perché era arrivata la sua ora, ma che era per riprendere meglio la vita.
Maestro di centinaia di allievi che ogni tanto incontravamo e che lo ringraziavano per quanto aveva fatto per lui. Citava spesso i commenti dei suoi allievi, dette durante le lezioni, specie quando erano un’occasione per farci sopra una risata.
I nostri colloqui erano ovviamente sempre dedicati in un modo o nell’altro all’analisi di questa o quella Halakhà, di questo o quel verso della Torà. Aveva insegnato nella Scuola Media e talvolta nelle stesse classi in cui insegnava lettere mia moglie Mimma z.l., che lui apprezzava molto per il suo modo di rapportarsi agli allievi.
I ricordi si affollano nella mente, ma vorrei qui ricordare di quanto era fiero dei figli e dei nipoti e in particolare di Eitan: mi spiace solo di non avere avuto il tempo di parlare con Haim dopo che il nipote Eitan prese il titolo di Maskil. Non c’è stato tempo. Ora Haim può guardare dal posto in cui si trova e dire che il suo insegnamento ha trovato la migliore conferma. Insegnare ai figli dei figli e ottenere questa soddisfazione è la migliore prova che Haim ha ben seminato e il suo insegnamento ha dato i suoi frutti.
Mi rendo conto di quanto queste parole non possano in nessun modo dare una visione completa di ciò che Rav Vittorio Haim Della Rocca è stato per gli ebrei della Comunità di Roma e ci saranno altre occasioni in cui questo potrà emergere.
Caro Haim ci manchi già e ci mancherai sempre più.
Iehì zikhrò Barukh (Che il suo ricordo sia in benedizione)
Mino