Il dibattito sulla Shoah e sulla libertà di espressione sta imperversando in Islanda, dove di recente è stato pubblicato (di nuovo) un libro negazionista, il cui titolo è “La falsità del ventesimo secolo – l’argomento contro il presunto sterminio degli ebrei in Europa” di Arthur R.Butz, uscito per la prima volta nel 1976.
“Olocausto? Ben 6 milioni di persone vengono brutalmente assassinate in camere a gas, non è un po’ esagerato?”. Così è scritto nel libro tradotto in islandese da Björn Jónsson, gestore dell’azienda turistica Valferðir.
L’episodio sta facendo molto discutere anche perché l’Islanda è uno dei paesi in cui si legge di più rispetto alla popolazione. Una tendenza che arriva al suo culmine proprio durante le festività invernali grazie alla tradizionale Jólabókaflodid, la settimana dell’acquisto di libri.
A questo va aggiunto che Jónsson è stato in grado sì di pubblicare questo irrispettoso libro, ma anche di pubblicizzarlo nel Bókatídindi, il popolare catalogo letterario distribuito annualmente in tutte le case islandesi prima di Natale.
Come verrà accolto dagli assidui lettori islandesi un libro che nega la Shoah? Gli islandesi, visto che il loro paese non è entrato minimamente all’interno delle Seconda Guerra Mondiale, avranno gli strumenti adatti per capire le falsità di “The hoax of the twentieth century-the case against the presumed extermination of european jewry” (titolo originale)?
Perché ancora c’è chi si ostina a negare la Shoah e lo sterminio dei sei milioni di ebrei?
Abbiamo due risposte. La prima, forse la più semplicistica, è da ricercare in quell’antisemitismo che sfocia appunto nella negazione dell’Olocausto. La seconda, forse la più ottimistica, è che la mente umana non può accettare che un giorno degli esseri umani siano stati deportati in campi di sterminio, venendo gasati o uccisi barbaramente, senza avere alcuna colpa.