Una storia commovente. Una di quelle che dovrebbero far riflettere sulla sofferenza patita da coloro che finirono nei campi di sterminio nazisti.
Era il giugno 1943 e Jules Schelvis venne deportato nel campo di sterminio di Sobibor, dove riuscì a evitare la morte, perché messo a lavorare fuori dal campo, a differenza della moglie e ai parenti di lei che persero subito la vita. Schelvis fu trasportato in sette campi diversi prima di esser liberato nell’aprile 1945.
Pochi giorni dopo Jules decise di scrivere una lettera per far sapere ai suoi parenti di esser riuscito a sopravvivere a quell’inferno. Era il 7 maggio 1945 e queste sono le sue parole:
“Gretha, David, Hella, Chel e Herman sono stati, ne sono sicuro al 99 per cento, gasati immediatamente all’arrivo alla al lager di Sobibor, vicino a Lublino. Sarà doloroso per te leggere tutto questo, ma devo dirtelo comunque. Scrivo tutto questo così freddamente, perché le tante cose che ho visto e vissuto io stesso mi hanno reso duro”.
Un’umanità sconvolgente quella di Schelvis che dopo aver vissuto atroci sofferenze, si scusa per il tono crudo con cui racconta ciò che ha visto. Essendo malato e costretto in ospedale, affidò la lettera, rivolta a sua zia, suo zio e i cugini Annie, Isaac e Karel Stroz; al connazionale Nico Staal, che proveniva dal campo di concentramento di Dachau e diretto a casa.
Quella lettera, però, non arrivò mai a destinazione. O meglio, è arrivata con 75 anni di ritardo grazie al ricercatore Jos Sinnema del Museo della Resistenza di Amsterdam, il quale ha scoperto la lettera poco tempo fa e l’ha consegnata a uno dei destinatari ancora in vita, Karel Stroz, il cugino di Schelvis. Lo stesso Stroz ha deciso di donare la lettera allo stesso Museo della Resistenza di Amsterdam.
Jules Schelvis è morto il 3 aprile 2016, non prima di spendere parte della sua vita a raccontare l’orrore dei campi di sterminio.