È sorprendente come a decenni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale vengano a galla per la prima volta fatti importanti, che fanno comprendere meglio, semmai ce ne fosse bisogno, la portata discriminatoria nei confronti del popolo ebraico.
Popolo ebraico che la macchina di morte nazista voleva cancellare dalla Terra, fisicamente ma anche linguisticamente. A scoprirlo è stato lo scrittore Michael Blume nel 2019, anno in cui stava svolgendo delle ricerche per il suo libro “Perché l’antisemitismo ci minaccia tutti”.
Blume, infatti, scoprì che i nazisti avevano modificato l’alfabeto fonetico tedesco per togliere ogni riferimento linguistico legato agli ebrei.
Furono eliminati 14 termini della tradizione ebraica, fra cui i nomi David, Jacob, Nathan, Samuel e Zacharias, indicanti le lettere D, J, N, S e Z, sostituiti con i più germanici Dora, Julius, Nordpol, Siegfried e Zeppelin.
Michael Blume, che guida la lotta contro l’antisemitismo nel Land del Baden-Württemberg, ritiene come da questo fatto sia evidente:
“Quanto profondamente si sia insinuato l’ideale nazista nella nostra lingua e nei nostri pensieri, senza che nessuno se ne chiedesse mai il perché”.
Secondo gli storici, la decisione nazista di eliminare i nomi ebraici dalla tavola dello spelling, doveva esser vista come un monito per lo sterminio di sei milioni di ebrei, che avrebbe avuto luogo pochi anni dopo.
Clemens Schwender, professore e studioso di “spelling tables”, ritiene che l’utilizzo di termini come Siegfried, che nella sua forma precedente era Samuel.
“Mostra che i 12 anni di era nazista […] hanno ancora un forte impatto”.
La Germania nazista non voleva esclusivamente sterminare gli ebrei, voleva cancellare ogni traccia del popolo ebraico. Voleva che il mondo a venire non avesse né memoria né legami con il popolo ebraico.
Per questo ora la Germania ha deciso di cambiare il suo alfabeto fonetico.