Avram Noam Chomsky è un personaggio di fama mondiale. Professore emerito di linguistica, teorico della grammatica generativo-trasformazionale, ha ricevuto una laurea honoris causa in psicologia, in lettere e in neuroscienze che si uniscono ad altri numerosi riconoscimenti. Addirittura il New York Times ritiene sia tra i più grandi intellettuali viventi. È figlio di immigrati ebrei provenienti dalla Russia ed ha una posizione notoriamente critica verso Israele.
Ieri il Jerusalem Post ha riportato l’opinione del noto intellettuale nell’ambito dell’attacco terroristico contro la redazione satirica del Charlie Hebdo sottolineando che anche in altre zone del mondo si uccidono giornalisti innocenti: “Molti giornalisti sono stati uccisi durante l’Operazione Margine di Protezione, qualche volta anche nelle loro auto dove era ben evidenziato che erano della stampa assieme a molti altri ancora, mentre la prigione a cielo aperto veniva ridotta in macerie”. Un’affermazione che potrebbe raccogliere la soddisfazione del Centro per i Diritti Umani Palestinese, l’organizzazione non governativa che durante l’Operazione di Gaza della scorsa estate aggiornava l’elenco delle vittime “civili” palestinesi tra i quali ad esempio, figuravano il giornalista freelance Ezzat Salama Duheir che il 29 luglio 2014 alla tenera età di 23 anni, veniva colpito a morte dall’esercito israeliano mentre esercitava la sua funzione di fotoreporter.
Ma con buona pace dell’illustrissimo Chomsky e dei detrattori come lui che si divertono ad accendere la macchina del fango contro Israele pur di raccogliere qualche applauso per soddisfare il proprio ego ipertrofico, purtroppo Duheir era solo un terrorista, un assassino, uno pratico di fucili, armi automatiche, un personaggio della stessa specie di quelli che sparano nelle redazioni a cui però sono state riservate esequie in pompa magna degne di un devoto mujaheddin della Jihad Islamica che sono ben diverse dalle anonime e rapide sepolture degli assassini Kouachi nei cimiteri di Reims e di Gennevilliers