Diceva Ben Gurion che chi non crede ai miracoli non può capire niente di Israele. Magari sono miracoli laici, frutto di duro lavoro e non di gratuita benevolenza del cielo, ma è chiaro che questa è davvero una stagione di miracoli politici per Israele. L’ultimo, un po’ occultato dalla stampa europea, ma certamente stupefacente, è questo: due paesi nemici, che si sono ferocemente combattuti e si mettono d’accordo per una mossa diplomatica parallela e per nulla banale: l’apertura di ambasciate a Gerusalemme. I due paesi sono la Serbia e il Kosovo, ortodossa la prima e musulmano il secondo. Nel quadro di un accordo economico propiziato da Trump (dopo lunghi anni di fallimenti europei nel sanare la ferita balcanica) hanno deciso anche questa mossa: il Kosovo di riconoscere Israele e scambiare gli ambasciatori, con sede a Gerusalemme; la Serbia di spostare l’ambasciata già aperta a Tel Aviv nella vera capitale di Israele. Naturalmente la Turchia ha protestato e l’Unione Europea ha mascherato nel silenzio l’impotenza che le deriva dalla sua linea filo-palestinista e filo-islamista.
Certo, la protezione americana in questo accordo c’entra (anche se gli Usa non sono considerati grandi amici di Belgrado, dai tempi della guerra del Kosovo, coi bombardamenti dell’ambasciata cinese e della sede tv). C’entra la grande capacità di Trump di pensare fuori dagli schemi ideologici, puntando a soluzioni concrete, da buon businessman; e per quanto riguarda Israele la sua volontà di estendere il suo progetto di pace a nuovi partner, come è successo con gli Emirati del Golfo. Questa è un’altra prova di quanto sia stata stupidamente sottovalutata dalla stampa internazionale la presidenza Trump. Ma c’entra anche l’attrattiva di Israele come “start-up nation”, centro scientifico e tecnologico, modello di piccola economia capace di svilupparsi in un contesto non facile. E certamente Serbia e Kosovo sono, per ragioni complementari, entrambe piuttosto isolate nell’Europa d’oggi . Vi è infine una tradizionale amicizia nei confronti del popolo ebraico, che ha basi storiche sia fra i serbi che fra gli albanesi: entrambe le nazioni durante la Shoah, benché invase dai nazifascisti, hanno evitato di unirsi ai “volonterosi carnefici di Hitler”.
Tutte buone ragioni, ma parziali. Resta il piccolo miracolo di due nemici che, al loro primo accordo, si uniscono nel riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele, di un nuovo stato musulmano che apre relazioni diplomatiche con Israele, insomma di una dinamica che conferma le grandi linee diplomatiche di Netanyahu: che la pace va fatta in cambio della pace e non di concessioni territoriali; che non bisogna farsi fermare dai ricatti dei palestinisti, perché il loro potere di blocco si è eroso proprio per l’abuso che ne hanno fatto; che Israele può farsi amici nel mondo per quello che è, autonomamente, senza accettare l’egemonia neo-coloniale dell’Europa.