Il terrorismo islamico torna a riempire le cronache italiane. La regione coinvolta è l’Emilia-Romagna, dove lo scorso febbraio è stato arrestato Mounir Barhoumi, muratore tunisino accusato di “autoaddestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale”.
Per il 25enne fermato a Busseto e attualmente detenuto nel carcere di Parma, la Procura di Bologna ha chiesto il giudizio immediato.
Nel cellulare di Mounir Barhoumi erano stati trovati migliaia di file, il cui contenuto non aveva lasciato dubbi negli investigatori: indicazioni sulle modalità di costruzione di armi ed esplosivi, incitamento alla Jihad, esecuzioni di persone ritenute infedeli e testi che inneggiavano al martirio.
Investigatori che non avevano potuto che riscontrare “materiale chiaramente volto all’autoaddestramento a compiere atti di terrorismo”, “consigli” sulla realizzazione di molotov e Anfo e:
“Tecniche di combattimento e raccomandazioni per evitare la cattura, su ‘strumenti di autodifesa e di fuga’ e sull’uso di armi e altre attività operative”.
Il materiale trovato nello smartphone del giovane aveva fatto scattare l’allarme perché non era di natura generica, ma atto “al successivo coinvolgimento in atti di terrorismo”, suffragato anche dal “collegamento informatico, realizzato in ambienti riservati, con l’Isis”.
Isis attraverso cui l’accusato era entrato in possesso di numerosi file e:
“Almeno 40 video da Telegram, Facebook e Whatsapp, nei quali si incitava ad intraprendere la jihad e si esaltava la morte nel nome di Allah”.
Un pericolo per la Procura di Bologna che ha l’immediato processo per Mounir Barhoumi, la cui vicenda è l’ennesimo monito in materia di terrorismo islamico in Italia.
Un fenomeno che nel nostro paese non va assolutamente sottovalutato. Il fatto che fino a ora alcun attentato sia stata realizzato sul territorio italiano non deve essere una giustificazione.