Palestina, 1920: i pogrom arabi contro gli ebrei. Quell’odio che viene da lontano
Nei giorni scorsi è stato molto ricordato, e giustamente, il centenario dell’incontro di Sanremo fra le potenze vincitrici della Prima Guerra Mondiale e del trattato che vi fu approvato, perché esso è il primo riconoscimento giuridico internazionale del diritto del popolo ebraico alla costituzione di una patria nei suoi territori di origine. Questo riconoscimento fu poi ribadito due anni dopo dall’assemblea della Società delle Nazioni nella forma di un “mandato di Palestina” che aveva l’obiettivo esplicito di favorire l’immigrazione e l’insediamento ebraico ed è ancor oggi valido, perché nello statuto dell’Onu si stabilisce la ricezione integrale delle deliberazioni della Società delle Nazioni. E’ dunque da quelle decisioni che ha una indiscutibile base giuridica la sovranità israeliana su tutto il territorio fra il Giordano e il mare, incluse le parti rivendicate dall’Autorità Palestinese.
Ma vi è un altro centenario che ricorre in questi mesi, riguardando Israele in maniera molto meno positiva. All’inizio del 1920, anche prima del trattato di Sanremo, risale infatti la guerra che gli arabi locali, appoggiati dai paesi circostanti, hanno mosso senza soste agli ebrei insediati nelle antiche terre dei regni di Giudea e di Israele. Ricordiamo preliminarmente che la popolazione ebraica di quella regione non era mai scomparsa. Vi erano ebrei a Gerusalemme quando fu conquistata all’Islam dal califfo Omar nel 637 (e poi quando la presero i crociati nel 1099, sterminandone molti). Ve n’erano in Galilea in quei secoli, quando la trascrizione massoretica delle Scritture fu realizzata a Tiberiade. Vi passò Maimonide nel XII secolo e vi morì Nachmanide nel XIII, nello stesso periodo Beniamino de Tudela vi censì la comunità ebraiche; nel XVI secolo si stabilirono a Safed i cabalisti, ma vi erano comunità almeno anche a Gerusalemme e Gaza. Napoleone ne cercò l’appoggio durante la sua campagna d’Egitto, il primo censimento turco di Gerusalemme nel 1844 mostra una maggioranza ebraica, che poi si è conservata fino ad oggi. La grande ondata di ritorno degli ebrei è iniziata negli anni ‘60 dell’Ottocento, nel 1882 nascono le prime nuove città (Rishon Lezion, Zichron Yaakov), nel 1909 si fonda Tel Aviv e il primo Kibbutz (Degania, sulle sponde del Lago di Tiberiade).
Nel 1920 la popolazione ebraica era insomma da tempo presente, sia nella sua forma tradizionale di insediamenti religiosi molto poveri, sia nelle nuove città e villaggi popolati da immigranti europei, che ne avevano comprato a caro prezzo le terre ed era accettata dalle popolazioni arabe, che avevano avuto grandi vantaggi dalla vitalità economica portata dall’immigrazione ebraica. C’era stata certamente la solita oppressione degli ebrei nelle terre governate dall’Islam e l’ottuso dominio burocratico dei turchi; durante i decenni del risveglio ebraico c’erano stati anche degli episodi di banditismo beduino, ma la convivenza in genere era abbastanza buona. La presenza ebraica non era coloniale, gli immigrati non sfruttavano la manodopera locale, ma lavoravano con le loro mani i campi e avevano con i vicini arabi rapporti commerciali.
C’erano stati anche degli importanti progetti di collaborazione politica Nel Gennaio 1919 Weizmann, presidente dell’Organizzazione sionista e il Grande Sceriffo di Mecca, Emiro Faisal Ibn al-Hussein sottoscrissero una dichiarazione che impegnava le parti sui seguenti punti :
“ARTICOLO I La più cordiale buona volontà e comprensione regoleranno tutte le relazioni e gli impegni fra lo Stato Arabo e la Palestina [E’ importante notare che per Palestina si intende qui lo stato degli ebrei ], e a questo fine agenti arabi ed ebrei debitamente accreditati saranno posti e mantenuti nei rispettivi territori.
ARTICOLO II Immediatamente dopo il completamento delle delibere della Conferenza di Pace, i confini definiti fra lo Stato Arabo e la Palestina saranno determinati da un’apposita Commissione, gradita ad ambo le parti.
ARTICOLO III Nello stabilire la Costituzione e l’Amministrazione della Palestina si adotteranno tutte le misure possibili per garantire l’applicazione della Dichiarazione del Governo Britannico del 2 novembre 1917.
ARTICOLO IV Si prenderanno tutte le misure per incoraggiare e stimolare l’immigrazione su larga scala degli Ebrei in Palestina e per insediare il più presto possibile gli immigranti ebrei sul territorio, mediante insediamenti contigui e coltivazione intensiva della terra. Nel prendere tali misure i diritti dei contadini e dei proprietari di tenute arabi saranno salvaguardati, ed essi saranno assistiti nel portare avanti il loro sviluppo economico”
I giochi imperialisti di Francia e Gran Bretagna impedirono poi la realizzazione dell’accordo. Suo fratello ʿAbd Allāh ibn al-Ḥusayn (bisnonno dell’attuale sovrano di Giordania), che cercò di riprendere la sua politica dopo la sconfitta del ‘48-49, fu ucciso da un palestinista ante litteram, mentre pregava alla moschea di Al Aqsa a Gerusalemme.
Torniamo al nostro centenario. La violenza organizzata contro gli ebrei iniziò sul serio all’inizio del 1920. A Gennaio, contadini arabi attaccarono Tel Hai, un insediamento ebraico in Galilea vicino al confine siriano, uccidendone due membri. Due mesi dopo, il 1 marzo 1920, centinaia di arabi di un villaggio vicino scesero di nuovo su Tel Hai, uccidendo altri sei ebrei. Tra questi c’era Joseph Trumpeldor che aveva combattuto nella guerra russo-giapponese e che aveva organizzato la difesa degli insediamenti in Galilea, riconosciuto da Israele come il primo comandante e il primo eroe caduto delle forze di difesa. Durante i mesi di marzo e aprile, oltre una dozzina di insediamenti agricoli ebraici in Galilea (fra cui Kfar Tavor, Degania, Rosh Pina, Ayelet Hashahar, Mishmar Hayarden, Kfar Giladi e Metulla) furono attaccati da arabi palestinesi armati.
Il culmine di questi primi atti organizzati di guerra contro gli insediamenti ebraici avvenne il 4 aprile 1920: I musulmani stavano celebrando il terzo e ultimo giorno della festa di Nebi Musa (il profeta Mosè), con un pellegrinaggio nel luogo della sua tomba presunta. Al ritorno a Gerusalemme, decine di migliaia di arabi furono incitati da Haj Amin al-Husseini, che sarebbe stato successivamente nominato Mufti della città, ad assalire gli ebrei. Ripetendo lo slogan (usato ancora oggi…) “La Palestina è la nostra terra e gli ebrei sono i nostri cani” la folla passò all’offensiva. Entrarono nelle case del quartiere ebraico, assalirono tutti quelli che trovarono, violentarono le donne e saccheggiarono le proprietà. Anche i cimiteri e le yeshivot furono attaccate: pietre tombali e rotoli della Torah furono distrutti. I poliziotti arabi, il cui compito sarebbe stato quello di mantenere l’ordine, si unirono invece all’attacco, mentre le autorità obbligatorie britanniche inizialmente evitarono ogni reazione. Oltre 100 ebrei furono feriti nelle prime ore e la rivolta si intensificò il giorno seguente, portando gli inglesi a imporre la legge marziale. Alla fine, dopo diversi altri giorni di disordini, la violenza fu finalmente repressa: cinque ebrei erano stati uccisi e più di duecento feriti.
Il 19 aprile 1920, su un treno diretto alla Conferenza di Sanremo, Chaim Weizmann scrisse a sua moglie Vera, che viveva a Londra:
“Mia cara, la cosa più terribile e terribile ci è successa: un pogrom in Gerusalemme, con tutti i segni caratteristici di un pogrom … Sono stanco, in frantumi, sfinito e nauseato da tutto. Se le baionette degli inglesi non ci avessero fermato, il primo giorno avremmo respinto gli arabi, ma gli inglesi hanno smantellato la nostra autodifesa e imprigionato i nostri, incluso Vladimir Yevgenyvich (Jabotinsky).”
Jabotinsky, il padre fondatore dell’attuale destra israeliana (Begin era stato il suo segretario) organizzò la difesa degli ebrei della Città Vecchia con soldati smobilitati della legione ebraica che avevano partecipato alla campagna militare britannica contro gli ottomani. (Jabotinsky e Trumpeldor avevano organizzato e aiutato a guidare le unità militari volontarie ebraiche che avevano combattuto con gli inglesi.) Quando le autorità britanniche alla fine repressero le rivolte, Jabotinsky e 19 associati furono arrestati per possesso di armi illegali. Jabotinsky fu condannato a 15 anni di carcere duro poi commutati in seguito alla pressione internazionale.
Nel frattempo, Haj Amin al Husseini e altri leader arabi avevano continuato a incitare contro gli ebrei. Il 1 maggio 1921, ribelli e poliziotti arabi con coltelli, pistole e fucili presero le strade di Giaffa, picchiando e uccidendo ebrei e saccheggiando case e negozi ebraici. Ventisette ebrei furono uccisi e 150 feriti. Gli attacchi degli abitanti dei villaggi arabi si estesero alle comunità ebraiche di Petach Tikvah, Rehovot, Hadera e fino a nord di Haifa. Una commissione d’inchiesta, guidata da Sir Thomas Haycraft, Capo della Giustizia in Palestina, fu istituita per indagare sulle cause e le circostanze delle rivolte e concluse che la violenza era dovuta al risentimento arabo degli immigrati ebrei in Palestina. Di conseguenza, l’alto commissario britannico, Sir Herbert Samuel, ordinò di fermare temporaneamente l’immigrazione ebraica. E’ uno schema d’azione che gli inglesi hanno ripetuto tutte le volte che esplodeva la violenza araba contro gli ebrei, per esempio nel 1928-29 a Gerusalemme, cui seguirono i terribile pogrom di Hebron e Safed, e poi ancora nella “grande rivolta araba” del 36-39, fino alla loro uscita di scena quando si scatenò la guerra araba contro lo Stato di Israele, ancora prima della sua fondazione, nel ‘47.
Insomma, chi ragiona della guerra degli arabi contro Israele deve partire da questa data, 1920, e da questo nome, Amin Al Husseini. Gli arabi hanno iniziato a cercare di cancellare sistematicamente la presenza ebraica in “Palestina” (come si chiamava allora il mandato per preparare la patria ebraica), ventott’anni prima di ogni “occupazione”, cioè stato ebraico, quando le terre che gli ebrei coltivavano e edificavano erano state tutte solo comprate a caro prezzo dai loro proprietari e l’amministrazione era inglese e non ebraica, o se si vuole 47 anni prima della Guerra dei Sei Giorni e dell’ ”occupazione” di Giudea e Samaria. Da allora non hanno mai abbandonato il programma di sterminare o quantomeno ributtare a mare gli ebrei.
Questa guerra insomma dura ormai da cent’anni e non accenna a smettere. Chi si è illuso (come Rabin, Peres la sinistra israeliana, europea e americana) che si potesse rabbonire la loro leadership, la quale impropriamente si definisce “palestinese”, concedendole uno stato da gestire e che così sarebbe nata la pace, non ha capito nulla di questo conflitto secolare, che da parte araba non ha come obiettivo la costruzione di uno stato (mai richiesto sotto il dominio turco, britannico, egiziano e giordano), ma solo la distruzione degli ebrei. Come sapeva già Jabotinski (e Ben Gurion, che pure gli era nemico, condivideva), la sola strada per mantenere la pace è la forza di Israele e la sua determinazione a difendersi.