È difficile trovare le parole per la storia di Franco Schoenheit, sopravvissuto al lager di Buchenwald e morto all’età di 92 anni. Prima nel campo di Fossoli, poi la separazione dalla madre e l’arrivo assieme al padre nel campo di concentramento istituito nel luglio 1937.
Una storia molto diversa rispetto alle altre che vi abbiamo raccontato. All’interno dell’immensa tragedia della Shoah, Franco Schoenheit ha avuto un pizzico di buona sorte. Quel cognome tedeschizzante che l’ha fatto vedere agli occhi dei nazisti come prigioniero “antifascista” e non come ebreo. Per questo, venne mandato a sgomberare le macerie degli edifici bombardati nel 1944 dagli Alleati nei dintorni di Buchenwald.
Come spesso è accaduto per i sopravvissuti all’orrore della Shoah, Franco Schoenheit ha iniziato a raccontare la sua incredibile storia nel 1986, quando aveva 59 anni:
“Nel lager, mio padre Carluccio dipendeva totalmente da me, dal mio tedesco imparato così su due piedi, dalla mia capacità di capire gli ordini, da quella di procurare cibo. Nove mesi di giornate tutte eguali. Io dovevo pensare soprattutto a farmi benvolere. Un medico nazista mi prese in simpatia, giocavo a scacchi con lui, mi aiutò a procurarmi qualcosa in più da mangiare. Un altro medico, un detenuto, il dottor Ludwig Weisbeck, mi aiutò quando mi feci male a un ginocchio, evitandomi settimane di lavoro”.
E ancora:
“E poi, ancora un altro colpo di insperata sorte, quando, una volta raccolti nel Piazzale dell’Appello, riuscimmo a scampare alla marcia della morte che i nazisti stavano organizzando per portarci via prima di abbandonare il campo, con gli americani alle porte: io sapevo che se fossimo usciti dal campo non saremmo sopravvissuti, il papà non sarebbe stato in grado di camminare nemmeno per una manciata di chilometri, tanto era debole. Così ci siamo avvolti uno straccio bianco intorno alla manica, come ne indossavano i kapò. Ma un tedesco, dall’alto della torretta ci aveva visto e puntando il mitragliatore stava per spararci quando all’improvviso era suonata la sirena di allarme aereo. Così, mentre lui si distraeva per un secondo, guardando il cielo, noi abbiamo fatto in tempo a nasconderci nel campo. Alla liberazione, ho aiutato i soldati Alleati a trovare quelli che erano rimasti nel campo. Ero riuscito a tirar fuori dalla paglia di una baracca un ragazzo italiano di Firenze, arrivato qui da Auschwitz. L’avevo preso di peso e portato fuori: si chiamava Nedo Fiano”.
L’inizio dell’incubo per Franco ebbe inizio il 25 gennaio 1944, giorno del suo arresto. Un giorno che spezzò la sua vita, che si ricompose (ove possibile) nell’agosto del 1945.
Era a scuola e il suo professore entra nell’aula dicendogli di andare subito a casa: la mamma è tornata a casa:
“Nella vita si vivono solo rari momenti di pura felicità, quello ne è stato uno lo ricordo come fosse adesso”.
Dopo aver conosciuto l’inferno, la famiglia Schönheit è riunita, Carluccio e Franco Schönheit e Gina Finzi: forse l’unico caso di famiglia interamente sopravvissuta alle barbarie naziste.