Non ci sono più dubbi. La strage avvenuta nella prefettura di Parigi è un atto di terrorismo. A compierla è stato Mickael Harpon, nato in Martinica, un’isola caraibica parte dell’arcipelago delle Piccole Antille, che dal 2003 lavorava proprio nella prefettura di polizia di Parigi come funzionario amministrativo.
Ha ucciso brutalmente quattro persone in quella che sembrava una normale giornata di lavoro, servendosi di un coltello di ceramica e di uno per aprire le ostriche.
Nelle ore successive alla strage, le autorità francesi avevano dichiarato di non avere sospetti di terrorismo sull’uomo. Poi, però, il procuratore antiterrorismo francese, Jean-François Ricard ha affermato che Mickael Harpon “aderiva a una visione radicale dell’islam” e aveva contatti con persone “del movimento islamico salafita”.
Procuratore che nel corso di una conferenza stampa ha sottolineato che il killer aveva mostrato diversi “cambiamenti di abitudini” anche dal punto di vista “dell’abbigliamento” e aveva abbandonato “qualsiasi abito occidentale per indossare vesti tradizionali quando andava alla moschea”.
Come spesso accade in questi casi, il profilo del killer presenta incongruenze. Da un lavoratore taciturno e modello a un radicalizzato all’Islam. Una conversione che inizialmente è stata datata nel 2017 e in seguito dieci anni prima.
Addirittura è stata riportata una sua “giustificazione” per gli attentati contro Charlie Hebdo nel 2015, che però non è stata specificata se fatta nell’immediatezza della strage o in tempi più vicini.
Notizie confuse (appositamente?), che non danno un quadro preciso della figura del killer, che presso la prefettura di Parigi faceva parte della Drpp, la direzione dell’intelligence, uno dei servizi più delicati dell’enorme caserma nell’île de la Cité.
Come è possibile che una persona che aveva mostrato numerosi cambiamenti e un avvicinamento all’Islam radicale potesse maneggiare documenti così importanti?
L’ennesima domanda sul terrorismo islamico che non riceverà una risposta…