Questa sera per il mondo ebraico inizia la celebrazione del Capodanno (Rosh ha Shanà che ha letteralmente lo stesso significato dell’espressione italiana) e inizia l’anno 5780 dalla creazione del primo essere umano. I maestri del pensiero ebraico hanno spesso sottolineato l’importanza del fatto che tutti gli uomini e le donne discendano dalla stessa unica coppia, perché questo ci rende tutti fratelli, senza gerarchie etniche e tutti reciprocamente responsabili. Nei due giorni di Rosh ha Shanà ci si scambiano gli auguri, si usa anche celebrare nelle due sere un “seder”, cioè un pasto rituale in cui si consumano cibi bene auguranti secondo la tradizione. Ma non si tratta di una festa spensierata come usa essere il capodanno civile, perché vi si apre il periodo dei dieci giorni solenni in cui si richiede di esaminare le proprie azioni, di pentirsi degli errori, di chiedere scusa dei torti commessi: innanzitutto agli altri esseri umani, e solo quando lo si è fatto è possibile innalzare la propria preghiera di pentimento alla sfera divina. Questo periodo di esame di coscienza e di pentimento si conclude col Giorno dell’Espiazione (Yom Kippur) in cui si digiuna e si cerca di essere perdonati per le proprie colpe.
Buona parte delle preghiere di espiazione non è fatta alla prima persona singolare, in nome proprio, ma collettivamente, parlando di “noi”. Dunque anche per chi non aderisse al senso religioso della celebrazione, questo è un buon momento per riesaminare quel che è accaduto nell’anno scorso e per cercare di capire che cosa bisogna cambiare e dove occorre dirigersi per migliorare la situazione. Provo qui a indicare quelle che sembrano a me le linee di questa riflessione collettiva. La condizione materiale del popolo ebraico è abbastanza buona: gode di notevole prosperità e deve lamentare un numero ridotto di lutti (anche se molti sono stati colpiti dal terrorismo). Israele è forte economicamente e militarmente e in media i suoi cittadini si dicono soddisfatti. Vi sono però dei problemi: vi è innanzitutto un crescente distacco fra Israele e la più forte comunità della diaspora, quella americana, che ormai fa prevalere in maggioranza il proprio orientamento politico di sinistra sulla responsabilità per Israele. Tutta la diaspora è minacciata sempre più dall’antisemitismo, che è dilagante in Europa del Nord, Germania Francia e ora colpisce anche gli Stati Uniti.
Israele è da quasi un anno impantanato in una crisi politica profonda che in buona parte deriva dall’insofferenza di buona parte dell’establishment per il leader che ha guidato il paese a grandi risultati in questi ultimi dieci anni. Non è chiaro se riuscirà a continuare il suo lavoro o dovrà essere sostituito e da chi; il clima politico però è molto pesante con manovre assai poco chiare, che coinvolgono anche alcuni partiti arabi antisionisti. Il fatto che la minaccia palestinista di portare Israele all’isolamento sia fallito non ha scoraggiato il terrorismo, sia da Gaza che in Giudea, Samaria, a Gerusalemme e altrove. Terrorismo spicciolo, che non costituisce una minaccia militare, ma che attenta alla vita di cittadini innocenti. Più grave è il pericolo che viene dall’Iran, lasciato dal mondo agire come un bandito senza reazioni né sanzioni, anzi spesso adulato e protetto. Gli ultimi eventi, in particolare l’attacco agli impianti petroliferi, mostrano che l’Iran ha costruito un apparato militare che potrebbe seriamente danneggiare non solo l’esercito israeliano, ma anche la popolazione civile. Siamo in una fase di guerra, per ora limitata, ma che potrebbe esplodere nel momento in cui gli strateghi iraniani ritenessero di avere un vantaggio tattico o Israele non fosse capace di mostrare deterrenza adeguata. Questo è il pericolo principale per Israele e per il mondo. Nonostante le belle parole di molti e nonostante gli atti concreti compiuti dal presidente Trump in aiuto allo stato ebraico, il rischio è di dover affrontare da soli un mostro terrorista che minaccia tutta l’umanità.
Ma questi pericoli sono note da tempo ai governanti di Israele e ai comandanti militari, che lavorano per scongiurarli sul piano militare, politico e diplomatico. L’augurio fondamentale per questo anno nuovo è che ci riescano, che sappiano manovrare relazioni internazionali e azioni miltari in maniera da mantenere la situazione in equilibri. E’ bene capire che la pace non è mai fatta solo di sorrisi di buona volontà, ma soprattutto di capacità di prevenzione e di deterrenza verso gli aggressori. Per questo è indispensabile che Israele risolva la sua crisi politica e sia governato da una mano ferma ed esperta. Questo è il secondo augurio.
Per quanto riguarda l’esperienza della diaspora e della minaccia antisemita che essa subisce, anche se noi in Italia ne siamo stati risparmiati negli ultimi decenni, bisogna rendersi conto che questa minaccia è seria e grave. Non basta la protezione della polizia, occorre stroncare la propaganda che dà luogo alle minacce fisiche, che per lo più oggi è antisraeliana. Bisogna sperare che sempre più siano messe fuori gioco quelle aree politiche, come i laburisti inglesi, parte dei democratici americani e l’estrema sinistra in tutta europee, che criminalizzando Israele sdoganano l’antisemitismo in generale. E questo è il mio terzo auspicio.
Il mondo ebraico della diaspora e anche quello italiano poi avrebbe bisogno di una seria riflessione, di un esame di coscienza approfondito. Ci troviamo di fronte a una perdita di identità, a un’incertezza culturale, a una subordinazione dell’appartenenza al popolo ebraico rispetto agli orientamenti politici e magari ai piccoli calcoli di carriera, a un dogmatismo perbenista che fa davvero paura. Anche il declino demografico, che pure c’è, è una minaccia minore rispetto a questa subordinazione di molta dirigenza ebraica a logiche partitiche estranee o a vecchi riflessi condizionati di schieramento. Bisogna augurarsi una ripresa soprattutto sul piano della coscienza identitaria e lavorare per essa. Questo è il mio ultimo augurio collettivo per questo capodanno.
Ai lettori, a tutto il popolo ebraico e ai suoi amici auguro un anno personalmente buono e dolce: Shanà Tovà uMetukà e quella capacità di azione e di successo che la tradizione indica come “buona iscrizione (nel libro della vita)”, Ketivà tovà.