Un’indagine della Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo di L’Aquila ha portato all’arresto di dieci persone nell’inchiesta sul finanziamento al terrorismo: 8 tunisini e 2 italiani, fra cui l’imam della moschea Dar Assalam di Martinsicuro, in provincia di Teramo, e una commercialista italiana.
Gli arrestati sono indagati per reati tributari e di autoriciclaggio, con finalità di terrorismo. Secondo l’accusa, infatti, attraverso alcune società giravano soldi, destinati al finanziamento di attività riconducibili all’organizzazione radicale islamica “Al-Nusra”: queste somme di denaro, inoltre, erano in parte frutto di evasione fiscale.
Come detto fra gli arrestati c’è una commercialista italiana, accusata di essere la contabile del gruppo che avrebbe mascherato gli illeciti tributari, servendosi di fatture per operazioni inesistenti per un ammontare di due milioni di euro.
Tale documentazione è stata trovata nel corso delle perquisizioni fatte in Abruzzo e in Piemonte.
Questa indagine ha evidenziato le capacità delle reti che finanziano il terrorismo islamico. Non si tratta, come a volte viene fatto credere, di cani sciolti, ma di gruppi strutturati al cui interno ci sono valenti professionisti.
Gruppi ramificati, che hanno collegamenti internazionali e appoggi all’estero. Come Hakim Nasiri, il 26enne afghano arrestato poche settimane fa dopo la fuga in Francia e in Germania, condannato nel luglio scorso dalla Corte d’assise d’appello di Bari a 5 anni di reclusione per associazione finalizzata al terrorismo internazionale di matrice islamica.
Un altro provvedimento preso nelle ultime settimane in merito al terrorismo islamico in Italia ha colpito Salma Bencharki, la moglie di Abderrahim Moutaharrik, espulsa e rimpatriata in Marocco perché ritenuta parte di un gruppo che aveva finalità terroristiche.
I tre episodi testimoniano come il terrorismo islamico in Italia – e in generale – sia organizzato e ramificato.