Pubblichiamo in esclusiva l’intervista alla studiosa ed autrice Bat Ye’Or * realizzata da Emanuel Segre Amar, presidente della Associazione Gruppo Sionistico piemontese.
Segre Amar: Come sono accolti i tuoi ragionamenti e i tuoi libri nel mondo delle comunità ebraiche in Svizzera, in Europa ed in Israele?
Bat Ye’Or: Le opinioni sui miei libri nelle comunità ebraiche variano tra le diverse comunità ebraiche della diaspora e di Israele, e anche tra gli ebrei originari dei paesi arabi. Alcuni intellettuali che appartengono al mondo politicamente corretto della sinistra li attaccano, anche violentemente, magari senza averli nemmeno letti e senza conoscere nulla dell’argomento, mentre altri vi trovano conferme e si ritrovano in quanto scrivo sulla vita
nei paesi arabi. Ebrei e cristiani mi sono molto grati per aver scritto, pubblicato e fatto conoscere la loro storia, le esperienze da loro vissute, il tutto basato su documenti autentici e inconfutabili.
E col mondo degli studiosi che in parte contestano i tuoi ragionamenti, qual’è il tuo rapporto? Ci sono scontri verbali, riuscite a discutere direttamente?
Le contestazioni si manifestano in tutti i modi, anche con critiche scritte nei loro libri, con accuse di nazismo, di razzismo, di islamofobia, di complottismo e perfino di criminalità, ma in effetti non ci sono mai degli argomenti oggettivi per contraddire quanto ho scritto. In generale coloro che mi contraddicono non hanno ben compreso il soggetto del quale parlo, la dhimmitudine e il dhimmi. Dunque il problema non sta solo nelle condizioni dell’ebreo e del cristiano, ma nella realtà stessa della vita del dhimmi che implica particolari sfaccettature della condizione dei cristiani, degli ebrei, e anche dei buddhisti e di altri. Per spiegarmi farò l’esempio di Asia Bibi, condannata per l’accusa di blasfemia. La comunicazione moderna ci ha fatto conoscere la tragedia di questa cristiana madre di cinque bambini, della sua famiglia, di tutta la sua comunità cristiana, e di coloro che sono stati uccisi per avere voluto salvarla. Tutta questa “inumanità” è contenuta in poche parole e si può leggere in qualsiasi libro di sharia. Questa è la dhimmitudine che ho studiato, non è soltanto l’enumerazione delle leggi, ma anche le relative conseguenze. È un argomento complesso ed è difficile definire quelli che sono i particolari comuni alle diverse popolazioni dhimmi, e le numerose differenze.
Hai lasciato l’Egitto quando avevi 20 anni, un Egitto che non esiste più, e dove avevi una vita completamente diversa da quella successiva. Hai dei ricordi, hai mantenuto dei rapporti con le amicizie della tua gioventù?
Ho mantenuto qualche contatto con poche amiche egiziane. Si partiva di nascosto, senza sapere quale sarebbe stato il nostro destino. Ciascuno di noi si fermava dove si poteva vivere e lavorare. Le difficoltà di adattamento e di integrazione rompevano i contatti tra di noi. Le persone che continuo a vedere, di religione ebraica e cristiana, si sono rifatte la loro vita. Certi amici ebrei hanno mantenuto solo dei buoni ricordi della bella vita che conducevano in Egitto. Non hanno compreso perché partivano, e soffrono di una certa nostalgia. Altri contatti con amici musulmani sono stati più amari; erano amici, ma nel modo nel quale parlavano con me o con mio marito mantenevano dei pregiudizi propri del loro ambiente coi quali io ero obbligata ad abituarmi quando stavo in Egitto: si viveva come dhimmi senza osare rispondere quando ci sentivamo insultati. In Europa mi sono emancipata dalla condizione di dhimmi, da questi pregiudizi antigiudaici e insultanti che si presentavano con naturalezza nelle conversazioni, che erano qualcosa di normale. In questo modo ho capito che questo genere di scherzi offensivi nei confronti miei, degli israeliani, della mia religione e degli ebrei, oramai non potevo più accettarli.
Quando in Europa ti è capitato di parlare coi tuoi amici di gioventù, sono ancora saltati fuori i pregiudizi nei confronti degli ebrei? Quel qualcosa di innato, come dice Bensoussan citando un saggista algerino, che succhiano direttamente dal latte materno. “Lo hanno nella loro mentalità, oramai, dopo tanti secoli. Ed è interessante che questo, anche quando parlano con una persona che sanno essere di religione ebraica, salta fuori, ed è qualcosa che mi fa pensare ai giovani studenti di religione ebraica nelle scuole francesi che devono cambiare scuola perché i loro compagni li insultano in quanto Ebrei”. Vi è in questo una similitudine?
Si, certamente, ma in questa società quelli che noi chiamiamo pregiudizi sono delle verità che giustificano un comportamento carico di disdegno che è imposto dalla tradizione religiosa. Ma devo subito dire che ho anche incontrato, qui in Europa, musulmani molto amichevoli. Parlo qui dei miei ex amici d’Egitto; c’è questo comportamento, questa violenza antiisraeliana ed anti ebraica che esiste nei paesi musulmani; la si vede, si manifesta; è quindi evidente che le popolazioni che emigrano da questi paesi arrivano con dei pregiudizi coi quali sono stati educati e cresciuti, che appartengono alla loro civiltà, che non sono mai stati combattuti nella loro civiltà; il loro adattamento nella società occidentale è difficile anche su questo piano, intendo dire rispettare l’ebraismo, e accettare che i cristiani appartengono ad una branca del giudaismo, perché secondo l’Islam il cristianesimo è del tutto separato dall’ebraismo. Viene dall’islam e non dall’ebraismo, il Vangelo è una falsificazione del Corano e Gesù era un profeta musulmano. E quindi l’idea che i cristiani hanno adottato la Bibbia ebraica perché provengono dal giudaismo è qualcosa del tutto nuovo e per loro rivoltante. È per questa ragione che ricusano l’espressione “giudeo-Cristiano”. C’è dunque un’enorme ambiguità ed ignoranza tra i musulmani che emigrano in Occidente che devono adattarsi ad una cultura giudeo-cristiana che, vorrei sperare, si è liberata dei pregiudizi dell’antisemitismo, e devono anche adattarsi a vivere in mezzo a cristiani che non sono dhimmi. È una totale rivoluzione.
Bernard Lewis, ne L’origine della rabbia musulmana, afferma che nell’Islam non esiste differenza tra chiesa e stato. Altri illustri accademici notano che la religione islamica si qualifica per una stretta relazione tra la dimensione ideologico-morale e la dimensione normativa, intesa questa a livello sociale, politico ed economico. C’è anche chi sostiene che il mancato processo di secolarizzazione abbia generato nel mondo islamico un ritardo nel processo scientifico e tecnologico. Come sarà possibile conciliare la crescente presenza di musulmani in Europa sulla base di questi presupposti?
È vero, queste osservazioni sono tutte esatte. Ciononostante, penso che i governanti europei, degli Stati Uniti, del Canada ecc. dovrebbero mantenere questi principi e non pensare quali concessioni possano servire per fare in modo che i migranti possano adattarsi ed integrarsi nel mondo occidentale. Non sta alla popolazione e ai governanti occidentali fare concessioni contrarie alle leggi e ai valori del paese per integrarli, ma sta ai musulmani fare questi sforzi. E quanto meglio costoro si integreranno, tanto più si favorirà la modernizzazione e la laicizzazione dei migranti musulmani e l’accettazione dell’uguaglianza tra gli esseri umani. Si favorirebbe l’emancipazione del mondo musulmano da pregiudizi obsoleti, religiosi, discriminatori nei confronti delle altre religioni. E’ l’impegno che dobbiamo assumerci.
Credi che le autorità religiose, penso in particolare a quelle della città del Cairo, siano pronte a fare questo sforzo? Lo stesso presidente al Sisi a suo tempo ha sollecitato dei cambiamenti in questo senso da parte delle autorità religiose dell’Islam, ma non c’è stata risposta alcuna. C’è dunque forse poco da sperare in questa direzione?
Sono stati compiuti pochi sforzi e progressi di modernizzazione nel mondo musulmano e questi sforzi non sono stati incoraggiati dalla politica occidentale che al contrario ha sostenuto i peggiori movimenti di fanatismo jihadista o religioso per diverse ragioni quali la lotta contro il comunismo, o la protezione dei propri interessi negli Stati petroliferi. Obama non ha incoraggiato il movimento rivoluzionario contro la teocrazia dei mullah. L’Unione europea, sempre pronta a predicare i diritti dell’uomo, sostiene fortemente questo regime e si è sempre alleata con i movimenti jihadisti come l’OLP in contrapposizione ad Israele alla quale vorrebbe impedire di difendersi contro il terrorismo di Hamas e degliArabi di Palestina. Questo problema riguarda un miliardo e mezzo di esseri umani sul pianeta coi quali dobbiamo vivere in pace; dobbiamo avere la volontà di incoraggiare gli sforzi di quei musulmani che sono completamente d’accordo coi nostri principi e vogliono modernizzare la loro società.
Certamente ci sono forze di opposizione come al-Azhar, ma questo è un processo che dobbiamo accettare e intanto facilitare la riforma dell’Islam; dobbiamo entrare in questo processo in modo positivo aiutando i musulmani che cercano di trasformare l’Islam.
Le dinamiche mediorientali interne al mondo islamico, in particolare lo scontro tra sunniti e sciiti, possono diventare l’obiettivo verso i quali vengono effettuati i maggiori sforzi dai paesi dell’area a discapito di uno scontro con il mondo occidentale?
Sovente i musulmani si sono affrontati tra di loro, questi conflitti tra sunniti e sciiti sono ricorrenti all’interno del mondo islamico. Tuttavia, quando si è trattato di combattere contro il mondo del dar al Harb, il mondo dei miscredenti, si univano per far trionfare l’Islam. Ci sono dunque delle possibilità che le due forze finiscano per unirsi contro l’Occidente. Ma queste forze di contestazione dell’Occidente, che vogliono conquistare ed islamizzare, sembrano per ora decentralizzate. Ciononostante, l’organismo dell’OCI (Organizzazione della Cooperazione Islamica) che unisce tutte le nazioni musulmane, è un organismo centralizzatore dotato di un’enorme struttura che si potrebbe paragonare a quella dell’ONU ed agisce sul piano geo-strategico come un Califfato sovranazionale. Ha diversi dipartimenti e dispone di una enorme quantità di fondi grazie al petrolio degli Emirati, dell’Arabia Saudita, eccetera. È questo organismo che coordina gli sforzi a livello internazionale per l’islamizzazione dell’Occidente, la radicalizzazione dei musulmani immigrati, la guerra contro Israele, lo sviluppo dell’odio antisemita nell’Occidente. Esso opera anche, fin dal 1973, per la divisione nel campo occidentale dell’Europa contro gli USA e la Russia, per l’isolamento di Israele, per l’ostilità fra USA e Russia, per l’islamizzazione dell’Unesco e di diversi organismi internazionali. Ritengo che allo stato attuale la tendenza allo jihad, che è sempre stata presente nel mondo musulmano, e che non è mai stata revocata né abolita da un organismo ufficiale musulmano, tendenza volta alla conquista del mondo della miscredenza, sia sempre presente, e che si dimostri in modi differenti, sia col terrorismo, sia con la corruzione delle élite occidentali politiche, intellettuali, mediatiche. I popoli europei la conoscono e la sentono, e, nonostante il conflitto tra sunniti e sciiti, questa tendenza continuerà finché questa politica non sarà discussa apertamente.
L’Europa riuscirà a mantenere la sua cultura e la sua identità o diventerà veramente Eurabia senza più speranza? C’è una via d’uscita?
Ci sono sempre delle strade per uscire da una situazione tragica e per recuperare la propria libertà. Io credo che siamo già in Eurabia. Eurabia significa una civilizzazione euro-islamica. Le persone che non conoscono le leggi della sharia non sono in grado di identificarle in alcune pratiche importate dai paesi arabi in Europa. Per esempio, la situazione degli ebrei nella UE è divenuta quella di una minoranza odiata, come è nei paesi musulmani, discriminata a livello religioso, aggredita nei campus universitari e nelle scuole, bersaglio del terrorismo e gravemente traumatizzata dalla mancanza di sicurezza. È la condizione dei dhimmi che ebrei e cristiani avevano subito nei paesi musulmani. I dhimmi vivevano in una condizione di insicurezza perché non potevano difendersi contro un accusatore musulmano. Questa discriminazione era voluta per instillare la paura e la sottomissione come bene spiegano i giuristi e i commentatori della sharia. Oggi il terrorismo islamico in Europa, rivolto inizialmente solo contro ebrei e sionisti, è divenuto una forza potente di destabilizzazione delle democrazie che minaccia tutti, anche se è denunciato e condannato da musulmani che vivono in Europa, e da alcuni paesi musulmani. Vivere nella paura e nell’insicurezza è una forma di dhimmitudine assolutamente condannata dai principi della democrazia che affermano che il diritto principale di ogni uomo è quello di vivere in sicurezza. Il terrorismo jihadista ha cambiato il nostro modo di vivere, di parlare e di pensare. Possiamo constatare che viviamo nella dhimmitudine quando prendiamo un aereo: quando ci sottoponiamo a precise regole di sicurezza, accettiamo questa guerra contro la nostra libertà. Ci sono altri elementi di dhimmitudine che vengono praticati, come l’antisemitismo nelle scuole o nelle università, come il fatto che dobbiamo sottometterci a una auto-censura quando abbiamo paura di affermare fatti storici oggettivi, quando temiamo di essere portati di fronte a dei tribunali con l’accusa di islamofobia o di blasfemia (che è la stessa cosa). Accettiamo di islamizzare la topografia della Bibbia, parliamo di “territori occupati” invece di chiamarli Giudea e Samaria. Come i musulmani, accettiamo che i luoghi sacri degli ebrei e dei cristiani sono musulmani. Parliamo della Palestina anziché della Giudea. Questi obblighi che impregnano la nostra libertà hanno soppresso in Europa la libertà di opinione e di espressione. E quando parlo di libertà di opinione intendo la libertà di criticare le religioni, le regole, le politiche, dire che lo Stato di Israele è il paese millenario degli ebrei che hanno il diritto di vivere lì, liberi e sovrani. Ebbene, non si può dirlo senza dire la stessa cosa del “cosiddetto Stato palestinese”, che non è mai esistito per duemila anni; è come se la storia e l’esistenza del popolo ebraico che ebrei e cristiani conoscono da tremila anni fosse legata a questa condizione creata in toto nel 1969 dalla propaganda sovietica e dall’antisemitismo nazista europeo. Tutti questi aspetti della paura ci fanno accettare i criteri musulmani nell’educazione, nella storia, nella politica e nella morale. Hanno strutturato la civilizzazione della dhimmitudine in Europa privandola della libertà, della sicurezza e dei diritti elementari. È quello che, in un certo modo, siamo diventati tutti. E sono compresi tra questi i musulmani immigrati in Occidente che condividono le nostre opinioni, e che, se vogliono cambiare religione o affermare il loro sostegno nei confronti di Israele, sono obbligati ad avere delle guardie del corpo; questo dimostra che le libertà che sono affermate in Europa come diritti dell’uomo che devono essere rispettati, ebbene, queste non sono più rispettate.
Tu sei stata presente alla manifestazione che c’è stata a Ginevra per protestare contro le ripetute, assurde condanne dello Stato di Israele. C’erano tante persone che ascoltavano ciò che avviene alle Nazioni Unite contro Israele, ma è significativo che la stragrande maggioranza delle persone accorse di fronte al Palazzo delle Nazioni, anche se si parlava degli attacchi contro Israele, fossero non ebrei. Questo potrebbe significare che anche i cristiani ed i laici si rendono conto del concetto di dhimmitudine del quale tu parli?
Molti cristiani nel corso dei secoli erano vicini agli ebrei e li amavano, non erano tutti antisemiti o criminali. Dobbiamo dunque riconoscere questa corrente. Ma la tua osservazione nel contesto attuale è giusta. Molte persone hanno preso coscienza di questo contesto che non esisteva trent’anni fa in Europa. È importante precisare che ebrei e cristiani sono sottomessi alle stesse regole della sharia. Se dunque sono approvate contro gli ebrei, vengono legittimate anche contro i cristiani. Queste leggi provengono tutte dall’ideologia e dalla struttura militare del jihad e mirano ad imporre la supremazia islamica sugli ebrei e sui cristiani in tutti i domini. Le discriminazioni del passato erano da attribuire alla tolleranza o all’intolleranza dei califfi. Ma il concetto di dhimmitudine non prevede il concetto di tolleranza o di intolleranza. Esso descrive il quadro politico, militare, religioso e legale che appone a un certo numero di discriminazioni contro le popolazioni sottomesse nei loro propri paesi tramite le leggi del jihad. È importante comprendere questo concetto di dhimmitudine perché solo se lo si comprende lo si può riconoscere e quindi si può lottare contro le applicazioni della dhimmitudine; non si tratta di tolleranza o intolleranza di un capo di stato, ma si tratta di pregiudizi di un insieme legale che si applica ai non musulmani anche in paesi non governati da un capo musulmano come vediamo nelle università, nelle scuole in Occidente, o nella vita sociale. Regole che sopprimono un certo numero di libertà per i musulmani e per i non musulmani. Dobbiamo dunque comprendere che la lotta per riguadagnare le nostre libertà che abbiamo perduto non è contro i musulmani, ma contro alcune leggi oscurantiste e contro pregiudizi, e che in questa lotta i musulmani riformisti che accettano l’abolizione del jihad e della dhimmitudine perché credono nell’uguaglianza di tutti gli esseri umani e nei loro diritti di vivere liberi nei lori paesi, sono nostri alleati. Questo avverrà quando i musulmani accetteranno la legittimità di uno Stato di Israele libero e sovrano nella sua patria millenaria. Si combatte per una visione dei principi di uguaglianza tra gli esseri umani, negata dalla dhimmitudine, e per il rispetto della dignità umana. In questa lotta per la libertà dell’essere umano, per la libertà di parola, per il diritto di ciascuno alla sicurezza, dobbiamo unirci per riuscire a vincere.
Un non ebreo ha da essere sempre più stupito e costernato che tanti ebrei, per lo più di sinistra, in Israele e nel mondo, in ogni attività professionale, non ultima la magistratura, osteggiano lo Stato di Israele, tanto da intravvedere quasi una loro collusione coi loro più acerrimi nemici, quanto meno nei mezzi usati, se non proprio negli obiettivi. Senza sottovalutare il rischio a cui costoro sottopongono la stessa sopravvivenza della nazione ebraica, come si può fare per contrastarli efficacemente?
Queste persone, senza rendersene conto, si sottomettono all’ideologia jihadista che proibisce tutte le supremazie e tutte le indipendenze dei popoli non musulmani, non soltanto degli ebrei. Essi accettano la propaganda musulmana e si oppongono allo Stato di Israele e si immaginano che, se lo si sopprimesse, la pace regnerebbe sovrana. Ma la verità sta all’opposto, perché è attraverso l’accettazione della legittimità dello Stato di Israele che il mondo musulmano potrà accettare l’uguaglianza tra tutti gli esseri umani, ebrei, cristiani, buddhisti e tutti gli altri, e accetterà l’abolizione delle leggi e dell’ideologia jihadista che proibisce qualsiasi sovranità sulla terra al di fuori di quella musulmana. Quando si riconoscerà il diritto del popolo ebraico di vivere libero, indipendente e sovrano nella sua patria ancestrale e millenaria, allora si smetterà di voler imporre a tutti gli altri popoli della terra la condizione di dhimmitudine, che è quella di ogni non musulmano vinto dal jihad e sottomesso alla sharia. Accettando Israele, il mondo musulmano adotterà la realtà storica, oggettiva, fondata su documenti e non sulla fantasia jihadista della nakba che nega l’identità e i diritti degli ebrei e dei cristiani. Vi è, nel rifiuto islamico di Israele, il rifiuto della libertà degli altri popoli. Questo conflitto ci tocca tutti. La guerra contro Israele è una guerra di annientamento per eliminare il nostro passato e la nostra storia.
Bat Ye’Or ha appena pubblicato una sua ultima opera, completamente diversa da quella per la quale la conosciamo tutti. Ci vuoi dire tu che cosa hai appena pubblicato? Io dico solo che, per il Gruppo Sionistico Piemontese vorrei, appena possibile, organizzare per Bat Ye’Or un giro d’Italia per far conoscere a tutti questo romanzo: Le Dernier Khamsin des juifs d’Egypte, edizione Les Provinciales, Paris.
Grazie Manuel. In effetti l’ho scritto quando ero ancora in Egitto, e percepivo che davanti ai miei occhi aveva luogo la fine della comunità ebraica d’Egitto, negli anni ’50. Un avvenimento capitale per una comunità vecchia più di duemila anni. Volevo registrare tutto, ma siccome sapevo che gli ebrei erano sorvegliati, non ho tenuto gli appunti che scrivevo all’epoca e li ho bruciati prima di partire. Si partiva dall’Egitto di nascosto perché si temevano le denunce anonime. Soltanto due valigie erano autorizzate, ma dovevano passare il controllo della censura, e se avessi preso i miei manoscritti, sarei forse finita in prigione come sionista. Prima di bruciarli avevo però registrato tutto dentro di me, prevedendo di essere attrice e osservatrice di un evento maggiore che andava oltre la mia persona. Sapevo che un giorno lo avrei descritto, ci pensavo sempre, era come un obbligo. Anni dopo, in Inghilterra e in Svizzera, ho potuto riprodurre questa esperienza vissuta da quasi un milione di ebrei fuggiti da paesi musulmani nella forma del romanzo, restituendo veridicità umana a questo tempo di disperazione e di terrore. Se non è stato ancora peggiore e abbiamo potuto scappare lasciando tutto, lo è stato grazie alle pressioni dell’America.
Desidero ringraziare il mio editore per avere accettato il libro, tanto più che non sono un’autrice molto apprezzata in Francia, paese la cui politica, dal 1967, sostiene la guerra terrorista dell’OLP di annientamento di Israele.
Alcuni si riconosceranno in questa narrazione, mentre altri, che non hanno vissuto queste vicende, negheranno. Questa è la storia della fine della Comunità ebraica d’Egitto, una Comunità che esisteva dall’epoca della Bibbia e che ha dovuto fuggire in circostanze tragiche abbandonando i cimiteri, il proprio passato, e le sinagoghe dove, sui banchi, erano scritti i nomi dei genitori e dei nonni. Questa narrazione fa parte della fuga di oltre 800.000 ebrei dai paesi arabi, in circostanze talora ancor più drammatiche come quelle della fuga dalla Siria, dalla Libia, dall’Iraq o dallo Yemen. Hanno dovuto adattarsi, talvolta tra mille difficoltà, ad una società molto diversa, ricominciando una nuova vita, lavorando per assumere le loro responsabilità con vecchi genitori e con le famiglie. Hanno accettato questa sfida senza ricevere alcun aiuto di qualche paese. Soltanto lo Stato di Israele e le Comunità ebraiche della diaspora li hanno aiutati, fedeli alla antica tradizione di solidarietà per i rifugiati ebrei. Qualunque fosse la condizione di povertà delle Comunità ebraiche, queste hanno sempre aiutato i profughi. Le comunità del mondo islamico tenevano una tesoreria destinata ad acquistare gli schiavi ebrei, perché molti erano presi in schiavitù dai musulmani se non potevano pagare le pesanti tasse o per altre ragioni. Il riacquisto di schiavi cristiani non era frequente nelle comunità cristiane e nemmeno nella cristianità perché questi schiavi erano molto più numerosi. Presso gli ebrei era una mitzva liberare uno schiavo ebreo e rendergli la libertà. Nel XIX secolo l’Europa si è sforzata di sopprimere la schiavitù nelle sue colonie musulmane. Nel XX i milioni di rifugiati ebrei che hanno girato per il mondo hanno trovato una solidarietà da parte di Israele e delle Comunità ebraiche dove li portava il destino. Si può confrontare con gli Arabi di Palestina, alleati coi governi nazisti, collaborazionisti e fascisti, che hanno provocato le guerre del 1947- 48 e del 1967, chiamando i numerosi eserciti arabi al fine di sterminare gli ebrei in Israele, e che da 1947 hanno ricevuto fino ad oggi miliardi dalla comunità internazionale che ha riconosciuto loro uno statuto particolare.
Il XXesimo secolo è stato il secolo di tante realtà che passeranno alla storia; questa è una di quelle, e possiamo ben dire di essere fortunati che Bat Ye’Or ne sia stata testimone e ce ne abbia parlato in questo romanzo. Grazie Bat Ye’Or.
*Bat Ye’or, in ebraico בת יאור, ovvero figlia del Nilo, è lo pseudonimo della scrittrice ebrea Gisèle Littman (nata al Cairo nel 1933), saggista egiziana naturalizzata britannica.