Tikkunismo: il pericolo di una nuova religione politica

Ugo Volli
Ugo Volli
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Editoriali

Tikkunismo: il pericolo di una nuova religione politica

Editoriali
Ugo Volli
Ugo Volli

C’è una nuova religione nata nel seno, e forse sarebbe meglio dire al posto, dell’ebraismo americano. Possiamo chiamarla con  Vic Rosenthal “Tikkunismo”. Il nome viene dall’idea di “tikkun ‘olam”, che le lessico della Kabbalah significa “riparazione” o redenzione del mondo, quel lavoro che il mistico compie con la preghiera e altri mezzi rituali per recuperare le scintille di santità disperse nel mondo, anche nei suoi luoghi più impuri e malvagi, in seguito all’esplosione primordiale che nel linguaggio kabbalistico si chiama “shevirat hakelim”, “rottura dei vasi” della materia, incapaci di contenere la luce divina. Tutta questa connotazione mistica, con la ricca narrativa e le immagini che la circondano nella Kabbalah, è però del tutto perduta nel tikkunismo. Qui “tikkun ‘olam” significa letteralmente occuparsi dei mali del nostro mondo, l’ingiustizia, l’inquinamento, la violenza, la fame, la fuga di persone perseguitate e cercare di porvi rimedio.

Naturalmente non vi è nulla di male, anzi molto è lodevole in questa esigenza, sempre che sia compresa in maniera politica, cioè come una certa posizione ideale che deve confrontarsi con altre posizioni concorrenti, con interessi legittimi e anche semplicemente con i vincoli di compatibilità che limitano ogni progetto umano. Per esempio è chiaro che è bene, anche secondo l’etica delle Scritture ebraiche, combattere la fame e la miseria, cercare la giustizia sociale e la possibilità per ciascuno di vivere una vita dignitosa e promettente, liberare i popoli oppressi. Ma quando questo obiettivo viene posto come unico e assoluto, come nell’ideologia comunista, ne segue inevitabilmente un regime dirigista e totalitario che non solo comprime la libertà economica, sociale e ben presto anche quella di pensiero, ma fallisce il suo stesso obiettivo portando tutta la società (salvo i pochi privilegiati che la governano) alla miseria e all’ingiustizia che ne consegue. Così è accaduto sempre, in Russia e in Cina, a Cuba e in Venezuela.

Oppure  è giusto (ed è ancora prescritto nell’ebraismo) aiutare e rispettare gli stranieri. Ma devono essere casi di emergenza limitati nel tempo e dovuti a problemi gravissimi; oppure deve trattarsi di una forma di integrazione economica che ha senso purché gli stranieri ospiti rispettino le leggi e la cultura che li accoglie e non cerchino di sovvertirla o rovesciarla; e anche nei limiti della possibilità economica e sociale della società accogliente di integrare davvero questi immigrati, di inserirli nella vita sociale ed economica. Se questi limiti sono superati lo straniero (che le Scritture ebraiche chiamano per lo più in questo contesto “gher”, cioè ospite, straniero residente) diventa un invasore o un parassita e la società che lo subisce si decompone. Non c’è certamente nella tradizione ebraica l’obbligo di amare i banditi come ‘Amalek, o i nemici come i Filistei, o gli oppressori come i Romani. L’obbligo di tutelare se stessi e la propria società precede quello di aiutare gli altri. Voglio richiamare qui il titolo della più lucida e obiettiva analisi del problema dell’immigrazione uscita in Italiano, ad opera di uno scienziato di sinistra, ma boicottata da tutti i media: “L’ospite e il nemico” di Raffaele Simone, pubblicata da Garzanti, cui penso di dedicare presto un articolo.

Ma nel tikkunismo queste esigenze non sono pensate col buon senso con cui si dovrebbero considerare le posizioni politiche, bensì con l’assolutezza del dovere religioso. La politica viene deificata. Essere ebrei non significa comportarsi secondo le regole millenarie basate sulla Torah e neppure credere in qualche cosa (anche Dio è opzionale per i tikkunisti), ma avere posizioni politiche intenzionate a “riparare il mondo”, naturalmente cioè di sinistra (che poi ci riescano è tutta un’altra questione, la storia mostra che le società più intolleranti, inquinanti, violente sono sempre state quelle totalitarie, di destra e di sinistra allo stesso modo). Per i tikkunisti, chi non è di sinistra, perché crede al mercato, alla libertà individuale, all’importanza delle culture nazionale, non è semplicemente uno che la pensa in maniera diversa, o magari un avversario politico. E’ il “fascista” la personificazione del male, che dev’essere demonizzato, esorcizzato e distrutto, soprattutto se ha raggiunto qualche influenza. E’ una posizione che influenza profondamente in questo momento non solo il mondo ebraico, ma in generale i media, la politica e gli intellettuali “autorevoli”, perfino la Chiesa con la figura di papa Bergoglio. Il fatto che questo travestimento e traviamento della politica in religione sia spesso in buona fede non rende più lieve il problema, ma lo aggrava: come discutere, come negoziare con chi ti considera il male assoluto?

C’è dunque un fatto generale, ma c’è soprattutto un problema specificamente ebraico del tikkunismo. Ed è il fatto che esso si sviluppa molto spesso in antisionismo, in disapprovazione, se non proprio odio, per l’esistenza dello Stato di Israele, magari sotto la foglia di fico del dissenso per il suo governo di centrodestra, regolarmente scelto alle elezioni negli ultimi quindici anni dal popolo israeliano. Le ragioni sono ovvie. Israele è lo stato nazione del popolo ebraico, e i tikkunisti sono contro gli stati e ancor più le nazioni, perché pensano che siano trappole contro gli oppressi. Israele è oggetto di una guerra ininterrotta da parte dei musulmani e degli arabi da oltre un secolo, da prima della sua fondazione. Ma musulmana è la maggior parte degli emigranti e gli arabi sono poveri (benché seduti sui depositi di materie prime più ricche del mondo). Dunque hanno ragione loro, a prescindere.

Di più, i tikkunisti non nutrono dubbi rispetto alla miracolosa nascita di un nuovo popolo, i “palestinesi”, generato dai servizi segreti sovietici poco meno di sessant’anni fa. E dato che questo “popolo” afferma di essere stato spossessato del loro stato, non importa che questo stato non sia mai esistito e che gli ebrei abbiano comprato a caro prezzo le terre che hanno risanato ed abitato, che i loro avi siano gli indigeni di quelle terre, che ci sia stata un’approvazione legale internazionale per la fondazione del loro stato. Quel che conta è che gli altri pretendano di essere delle vittime espropriate, e questo impone di appoggiarle, anche nel terrorismo. Infine Israele è alleato dell’America, ha abbandonato il socialismo diventando prospero, è un regime democratico pluripartitico senza un dittatore rassicurante con la faccia di Castro, di Maduro o di Mao – il che ai tikkunisti proprio non va giù.

Dunque il tikkunismo, che con altro nome (“progressismo”) è diffuso un po’ dappertutto nella “migliore intelligenza” occidentale, nel mondo ebraico costituisce una scissione particolarmente grave, anche perché gli antisemiti (che si presentano come “solo” antisionisti) hanno gran vantaggio e gusto a potersi appoggiare su esponenti dei loro nemici ebrei che dicono a voce alta di condividere il loro odio per Israele. E’ un pericolo, abbastanza secondario in Europa, più rumoroso e paradossale in Israele, ma veramente grave negli Stati Uniti. Esserne coscienti è essenziale per non cadere in questa trappola politica travestita da religione.

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