Napoli: la propaganda antisraeliana incisa sui muri

Gerardo Verolino
Gerardo Verolino
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pregiudizio antisraeliano

Napoli: la propaganda antisraeliana incisa sui muri

È in corso a Napoli, ma si è diffusa un po’ dappertutto in Italia e all’estero, una delle più grandi operazioni di propaganda politico-ideologica (che nuoce anche ad Israele) che si siano mai viste nella storia, che parte da una delle città italiane, che, nonostante le apparenze delle belle giornate di sole, i frizzi, i lazzi e i putipù, è diventata invece, nel corso degli anni, una delle città più conformiste e arretrate (nel dibattito civile e culturale) del Paese. Che cosa sta avvenendo? Il sindaco di Napoli, la città dove nasce e prospera la spudorata operazione politico culturale, per poi, come detto, propagarsi altrove, decide di avvalersi dell’opera di un graffitaro per metà napoletano e per metà olandese, Jorit Agoch (sarebbe interessante sapere con quale criterio di scelta: discrezionale?), al quale viene chiesto di disegnare dei murales sulle facciate dei palazzi cittadini, in genere di periferia, al fine di “rigenerare” attraverso l’arte, territori abbandonati o degradati. Boh? In realtà, servendosi dello strumento dell’arte, in modo neanche tanto nascosto, egli deve portare acqua al mulino dell’ideologia comunista, terzomondista e filopalestinese tanto cara all’amministrazione comunale. Non che il sindaco glielo abbia detto. Non c’era bisogno. Quando contatta Jorit sa bene come la pensa e quanto le idee del graffitaro coincidano con le sue e con gli ambienti filopalestinesi maggioritari in Comune. Tutto ciò viene fatto dall’alto. Senza consultare e chiedere il parere della cittadinanza che deve sopportare, in silenzio, tale arbitrio.

Jorit, per intenderci, è quel signore che, l’estate scorsa va a Betlemme per disegnare (provocatoriamente) sulla barriera di separazione che divide Israele dalla cosiddetta Cisgiordania il volto di Ahed Tamimi, la ragazzetta palestinese assurta a stella nell’universo di Pallywood, e additata ad esempio dai manipolatori dell’informazione a icona della resistenza palestinese. Il writer napoletano viene fermato, per un banale e legittimo controllo, dalla polizia israeliana. E, dopo opportuni accertamenti, rilasciato nell’arco di una giornata, facendo di lui, nell’immaginario corrotto della sinistra antagonista, un nuovo martire da santificare sugli altari del martellante conformismo anti-israeliano. Il signor Jorit, in una zona “ad alto rischio”, per un conflitto permanente in corso, non può non sapere il pericolo che corre. Sa, probabilmente e calcola che è sempre meglio finire nelle mani della polizia di uno Stato libero e democratico come Israele che di uno liberticida e tiranno. Egli si sarebbe guardato bene dal compiere una provocazione del genere se al di là del muro ci fosse stata la polizia egiziana o iraniana ad aspettarlo che usa metodi, decisamente, meno ortodossi di quella di uno Stato libero. Fatto sta che il fermo della polizia israeliana e la mobilitazione “pelosa” dei soliti noti per chiederne l’immediata liberazione dalle mani degli “spietati aguzzini della Gestapo ebraica” gli dà una fulminea notorietà che alimenta la narrazione secondo la quale egli incarni, attraverso le sue opere, l’artista schierato dalla parte degli ultimi e degli oppressi del pianeta, che, nelle sue intenzioni sono quasi sempre i palestinesi soggiogati da Israele.

Così nel giro del giro di poco tempo, le sue opere si diffondono a macchia d’olio, dal centro alla periferia, da Napoli a Parigi passando per Lisbona, Berlino Stoccolma, Londra o Praga, dove, le facciate di numerosi palazzi vengono usati dall’artista di strada per celebrare, attraverso i suoi iperrealistici primi piani, i personaggi che meglio possono esprimere quei “modelli e simboli di ribellione che servano a smuovere le coscienze” secondo la vulgata a lui cara. Ma che in realtà giova solo alla battaglia politica di quella sinistra terzomondista, anti capitalista è, ca-va-sans-dire, antisraeliana, di cui è satura la nostra epoca. Ma l’operazione, stavolta, è subdola e non così manifesta come avviene l’estate scorsa nella cosiddetta Cisgiordania. Jorit non disegna il faccione di Ahed Tamimi per far capire da che parte stare. Gli basta tratteggiare la faccia di Nelson Mandela, a Firenze, e scrivere sul suo profilo Facebook “Mandela Free Palestine” per sostenere la causa degli “oppressi” che gli stanno più a cuore. Sì, perché, per lui, Mandela, c’entra coi palestinesi, perché il leader della lotta contro l’apartheid in Sudafrica, è il modello per eccellenza di “insurrezione” al tiranno che può essere, alternativamente, utilizzato per la “resistenza” che si vuole: in Sudafrica o a Gaza. Tant’è che Jorit si presenta all’inaugurazione del dipinto di Mandela indossando una maglia con i colori della bandiera palestinese. Anche Maradona che lui disegna su un altro muro, per lui “è un grande uomo, un guerriero che ha lottato per i popoli oppressi” e può essere un simbolo da utilizzare nella battaglia a favore dei palestinesi. Così Che Guevara (il criminale, ricordiamolo per gli smemorati, che organizza i campi di concentramento per gay a Cuba). O una bambinella Rom. O Angela Davis, la militante del partito comunista e del Black Panther Party in America. O San Gennaro che ha il volto di un meccanico napoletano. Tutto è finalizzato alla menzogna: contro l’Occidente, l’America e Israele in una delle più spudorate campagne di disinformazione, faziose e scorrette, ammantate dietro il nobile paravento dell’Arte, che si siano mai viste. Più delle martellanti campagne di spot forzitalioti di Berlusconi del ’94. I video passano. I faccioni propagandistici impressi sui muri delle città restano. In eterno e contro il volere di chi la pensa diversamente.

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