L’anno che sta per finire è stato molto intenso per il Medio Oriente, in particolare gli ultimi sei mesi hanno dato vita ad un processo di cambiamento che probabilmente sconvolgerà l’assetto geopolitico dell’area. Oltre al conflitto fra Israeliani e Palestinesi e alla guerra civile tutt’ora in corso in Siria, hanno fatto la loro comparsa sulla scena nuovi protagonisti come l’autoproclamatosi Stato Islamico e le sue varie ramificazioni negli Stati che non sono riusciti a gestire in modo civile e democratico le rivolte definite, con buona dose di ottimismo, dai media Occidentali “primavere arabe”.
Procedendo in ordine cronologico, Gennaio 2014 vede come protagonista il Segretario di Stato americano John Kerry che, incautamente, afferma per l’ennesima volta la volontà dell’amministrazione USA di trovare una soluzione al conflitto fra Israeliani e Palestinesi in massimo 9 mesi. Ci perdonerà l’uomo di punta della diplomazia americana se con una battuta affermiamo che tutta questa fretta non è stata di buon auspicio e che le sue azioni sembrano più rivolte alla ricerca del Nobel per la Pace che alla stipulazione di un accordo giusto per entrambe le parti in causa. Nel frattempo l’esercito dell’Isis avanza senza sosta verso ovest ponendo una seria minaccia ai confini di Turchia, Libano ed Israele, mentre i negoziati di pace di Ginevra per trovare una soluzione alla crisi si arenano a causa della decisione dell’autorità siriana di non accettare un governo transitorio. In Egitto invece il referendum sulla nuova costituzione mette al bando i partiti religiosi decretando la fine della presenza nel paese dei Fratelli Musulmani.
Febbraio vede il riaccendersi di tensioni fra Israele ed i suoi vicini: mentre da Gaza comincia ad intensificarsi il lancio di razzi sulle città del Sud di Israele, numerosi incidenti si verificano ai confini con Libano e Siria nel tentativo da parte dei gruppi terroristici islamici di coinvolgere Israele nella guerra civile che nel frattempo miete migliaia di vittime. In Libia lo stato di anarchia post Gheddafi esplode definitivamente in uno scontro fratricida a causa del rifiuto da parte del Congresso Nazionale di sciogliersi alla fine del mandato.
Il mese di Marzo è stato difficile da gestire per Israele: oltre all’incessante lancio di razzi da parte di Hamas, il governo di Netanyahu è costretto a fronteggiare le proteste degli ebrei ortodossi per le strade di Gerusalemme a causa della legge che cancella l’esenzione dal servizio militare per gli studenti delle Yeshivot, le scuole religiose in cui si studiano tutti i testi sacri dell’ebraismo. Inoltre si verificano ulteriori incidenti sulle alture del Golan a cui Israele risponde con raid aerei mirati sulle postazioni militari dell’esercito Siriano e di Hezbollah. Una notizia positiva arriva però dall’Egitto dove, appurato il legame fra Fratelli Musulmani e Hamas, all’organizzazione terroristica al potere a Gaza viene proibita qualsiasi attività ed i suoi asset vengono sequestrati dal Governo del Cairo. Passano sottotraccia due notizie che si riveleranno in seguito importanti: la scoperta di alcuni tunnel sotterranei che da Gaza portano oltre il confine Israeliano e l’accoltellamento di alcuni soldati in seguito all’incitamento, da parte di Hamas, a colpire con qualsiasi mezzo possibile gli obiettivi ebraici.
Ad Aprile la svolta che cancella qualsiasi passo in avanti fatto nei colloqui di pace: Fatah ed Hamas formano un governo di unità nazionale nella speranza di ottenere un maggiore consenso della popolazione e di riabilitare le milizie di Haniyeh nonostante l’organizzazione terroristica continui a detenere in modo autoritario il potere a Gaza.Inoltre il presidente dell’Autorità Palestinese Abbas decide di presentare formale adesione a 15 organizzazioni e trattati internazionali dell’ONU scatenando le ire di John Kerry che cancella la sua visita a Ramallah e fa di fatto decadere la proposta Americana: le trattative si basavano infatti sul congelamento di qualsiasi passo alle Nazioni Unite per cercare di raggiungere prima un reciproco riconoscimento con Israele. Nel già instabile Iraq si svolgono le prime elezioni dal ritiro delle truppe Americane. Al-Maliki e la sua coalizione vincono ma le troppe divisioni interne al mondo Musulmano rendono impossibile la formazione di una maggioranza stabile, requisito necessario per dare una pronta risposta alla minaccia Isis nel nord-ovest del paese.
Maggio fa registrare il centesimo razzo sulle città Israeliane dall’inizio dell’anno, un macabro preavviso di ciò che succederà in estate. Nel frattempo, nel silenzio dei media europei troppo attenti alla causa palestinese, continua il bagno di sangue in Siria con la drammatica fuga da Homs di migliaia di persone dopo 3 anni di dura resistenza. Anche in Libia tantissimi innocenti pagano le conseguenze dello scontro fra lealisti e gruppi di militanti islamici. In Egitto invece si comincia a intravedere un minimo di stabilità grazie alla nomina come presidente di Al-Sisi, ex generale e uomo su cui puntava fortemente l’amministrazione Obama. Non accade in Medio Oriente ma riteniamo importante segnalare che, proprio a Maggio, un’uomo ha aperto il fuoco sul museo ebraico di Bruxelles uccidendo 4 persone. Si scoprirà in seguito che si tratta di Mehdi Nemmouche, un ex appartenente alla Jihad islamica in Siria, il primo caso dei cosiddetti “lupi solitari” che negli ultimi mesi spaventano tutte le principali città Occidentali.
Ancora oggi, a distanza di così tanto tempo, ci duole fortemente ricordare gli eventi di Giugno. Il rapimento e l’uccisione di Eyal, Naftali e Gilad non solo rappresenta il prototipo di azione criminale e deplorevole di chi si rifà agli ideali colmi d’odio del terrorismo jihadista ma è anche la scintilla che ha scatenato l’escalation di eventi tragici che hanno portato alla guerra con Hamas. In pochi giorni la situazione si fa sempre più cupa: il 30 Giugno l’IDF trova i corpi dei ragazzi e in un operazione di polizia arresta numerosi individui collegati ad Hamas e ad altre cellule terroristiche operanti nella West Bank, un diciassettenne arabo viene bruciato vivo nei dintorni di Gerusalemme da estremisti di destra Israeliani. Tutto questo mentre sulle città Israeliane piovono missili ogni ora condannando la popolazione locale ad abbandonare qualsiasi attività e a rimanere costantemente nei pressi dei rifugi. I nostri attenti lettori sanno di cosa parliamo e di come i cittadini di Sderot, Ashkelon e numerosi altri centri abitati del Sud hanno subito questa violenza fisica e psicologica per mesi. Nel frattempo anche il resto del Medio Oriente è in subbuglio: in Iraq infuriano i combattimenti fra i Peshmerga Curdi e l’Isis, con quest’ultimi che riescono a catturare Mosul costringendo la comunità Cristiana alla fuga verso Erbil, città capitale degli indipendentisti Curdi. Chi purtroppo non è riuscito a mettersi in salvo è stato giustiziato sommariamente oppure vive tutt’ora tra mille atrocità come le donne Yazide, costrette alla schiavitù sessuale o a sposare un soldato agli ordini di Al-Baghdadi che, fra una minaccia a Roma e una all’America, si autoproclama Califfo dello Stato Islamico. Stessa sorte tocca alla Siria dove le città ancora sotto il controllo di Bashar Al-Assad sono ben poche.
L’estate si fa sempre più calda ed i mesi di Luglio e Agosto possono essere considerati l’apice delle violenze. Nonostante Iron Dome, il sistema di difesa antimissile Israeliano, i razzi lanciati da Hamas cominciano a raggiungere le maggiori città Israeliane come Gerusalemme e Tel Aviv costringendo il governo di Netanyahu a reagire adeguatamente: l’aviazione Israeliana intensifica sempre di più i raid sulle postazioni di lancio usate dai terroristi, inoltre le truppe di terra, richiamate nei giorni precedenti, entrano all’interno della Striscia di Gaza con l’obiettivo di fermare i missili, arrivati nel frattempo a più di 1000 dall’inizio dell’anno, e di distruggere i tunnel con cui uomini armati progettavano di entrare nei kibbutz oltreconfine e fare stragi di civili ebrei. Come ogni volta che si riaccende il conflitto, gli occhi del mondo si sono fermati su ciò che faceva l’esercito Israeliano indulgendo sull’uso da parte dei terroristi di Hamas di scuole e ospedali come centri operativi e depositi di armi. Il risultato ve lo abbiamo presentato in questi mesi con il nostro lavoro: diffamazione verso Israele ed episodi di chiaro antisemitismo in molte città europee. Poco importa se la tregua mediata dall’Egitto è stata a più riprese accettata dagli Israeliani e al contempo violata da Hamas, l’indignazione di tutto il mondo è stata a senso unico e con i soliti slogan che francamente non capiamo come possano essere accettati da chi, con la propria cultura occidentale, verrebbe decapitato da questi terroristi perchè considerato un infedele. Ancor di più ci stupisce che questi irriducibili difensori dei diritti umani non si siano accorti della vera e propria pulizia etnica in atto nei territori controllati dallo Stato Islamico, soprattutto nei dintorni della nuova capitale Raqqa.
Settembre ha come incontrastato protagonista lo Stato Islamico che acquista notevole visibilità mediatica grazie ai video delle decapitazioni di reporter e operatori delle ONG Americani ed Inglesi. Dopo mesi di tentennamenti Obama sceglie finalmente la strategia da adottare contro gli uomini di Al-Baghdadi: il sistematico uso di bombardamenti aerei riunendo in una grande coalizione internazionale un vasto numero di paesi. Alle Nazioni Unite si apre un’inchiesta sui presunti crimini di guerra effettuati dagli Israeliani a Gaza in Agosto. L’Iran offre il suo aiuto contro lo Stato Islamico in cambio di un accordo più favorevole sul nucleare ma gli USA rifiutano la proposta.
Intorno alla metà di Ottobre, a Gerusalemme, un terrorista Palestinese si lancia con la sua automobile sulle persone in attesa alla fermata del tram. Perdono la vita nell’attacco una bambina di pochi mesi ed una ragazza ecuadoregna di 22 anni. Comincia così la “car intifada” che causa numerose vittime nelle grandi città Israeliane. Inoltre riportiamo l’attentato ai danni di Yehuda Glick, un’attivista per il diritto degli ebrei di poter accedere al Monte del Tempio, sopravvissuto nonostante le gravi ferite causate da un’arma da fuoco. Il 30 Ottobre la Svezia è il primo paese europeo a riconoscere unilateralmente lo Stato di Palestina mentre in Regno Unito ed Irlanda i rispettivi parlamenti nazionali approvano una simbolica mozione non vincolante che invita i governi in carica a riconoscere la Palestina come Stato indipendente.
La “car intifada” raccoglie molti consensi all’interno della comunità Palestinese e, anche a causa degli incitamenti arrivati dalle alte cariche della ANP, si intensifica ancor di più a Novembre: due uccisioni e almeno sedici feriti nell’arco di una settimana, un bilancio che fa rabbrividire se si pensa che per portare a termine attacchi così efferati basta un veicolo ed una persona che sappia guidare. A queste vittime ne vanno sommate altre 7 tutte barbaramente uccise con coltelli ed altre armi da taglio: 4 di loro muoiono nella Sinagoga di Kehilat Bnei Torah, nel quartiere di Har Nof, dove due residenti di Gerusalemme Est entrano armati di pistole, asce e coltelli da cucina. Anche sul fronte politico la situazione è esplosiva: il governo di Netanyahu approva una legge che definisce Israele “casa del popolo ebraico” e il parlamento spagnolo approva una mozione non vincolante sulla falsariga di quella ratificata in Regno Unito.
Il 2014 comincia male e finisce ancora peggio per Israele: gli attacchi nei confronti dei suoi civili non si fermano e fra i 6 feriti in vari attentati c’è una bambina di 11 anni ustionata gravemente mentre viaggiava in auto con il padre. In seguito alla decisione, il 2 Dicembre, di sollevare dall’incarico i ministri Lapid e Livni, si rompe la coalizione di governo guidata da Netanyahu e vengono indette nuove elezioni per Marzo 2015. Durante alcuni scontri fra manifestanti Palestinesi e militari Israeliani nella West Bank muore di infarto il ministro della ANP Ziad Abu Ein ma i media internazionali cercano in tutti i modi di addossare la colpa ai soldati di Zahal, rei di averlo colpito al petto con il calcio di un fucile. Solo in seguito ad accertamenti medici è stata accertata una condizione pregressa di cardiopatia che ha portato al decesso del Ministro Palestinese. La situazione sembra precipitare anche all’interno delle istituzioni internazionali e, dopo la decisione di Francia e Portogallo di allinearsi alla posizione di Regno Unito e Spagna sul riconoscimento della Palestina, arrivano due pessime notizie per i negoziati di pace dall’Europa: Hamas non viene più riconosciuta come organizzazione terroristica per un vizio di forma dalla Corte di Giustizia UE e, lo stesso giorno, il Parlamento Europeo vota una risoluzione per il riconoscimento della Palestina come Stato indipendente con i confini precedenti alla guerra del 1967. Un duro colpo per la sicurezza di Israele che si ritroverebbe a pochi chilometri di distanza da Tel-Aviv uno Stato Palestinese che ad oggi non avrebbe nessun obbligo di riconoscere l’esistenza del proprio vicino e che, con Hamas sempre più popolare anche nella West Bank e Abbas che continua a perdere consensi, potrebbe essere governato da terroristi sanguinari aspiranti a “ricacciare in mare l’invasore sionista”. Concludiamo con il ricordo dei circa 130 bambini morti a Peshawar nell’attentato dei talebani contro la scuola dell’esercito Pakistano: fra tutti gli eventi citati finora l’uccisione a sangue freddo di ragazzi di età compresa fra i 4 e i 18 anni è forse la follia più grande. Che si chiamino Hamas, Isis, Talebani o una qualsiasi delle tante sigle che compongono la costellazione jihadista in Medio Oriente bisogna avere ben chiaro che l’obiettivo principale di questi assassini è il terrore e l’imposizione di valori che il mondo ha respinto secoli fa.
Ci auguriamo tutti che il 2015 spazzi via questa ondata di sangue che da troppo tempo copre una regione considerata la culla della civiltà, con la consapevolezza che per raggiungere la pace c’è bisogno a livello internazionale di un maggiore sforzo per combattere, non solo con le armi ma anche con le idee, il terrorismo e l’odio tra religioni.