Bisogna riconoscerlo: sono passati dieci mesi dall’inizio della serie di manifestazioni chiamate “marcia del ritorno” e la stampa, quando parla di Gaza, ormai abbastanza raramente, continua a riferirsi alla Striscia, da cui Israele si è ritirata nel 2005, come se fosse un territorio che lo stato ebraico “occupa” o addirittura “aggredisce”. Le cose non stanno così, anzi è vero esattamente il contrario, che Israele non vorrebbe assolutamente occuparsi di Gaza, non ha la minima voglia di un confronto militare nella Striscia perché sa benissimo che non vi è in essa nessuna risorsa strategica e non ha certo voglia di perdere vite umane e subire danni nelle sue relazioni internazionali per controllare una popolazione ostile. Sono i terroristi che governano Gaza a cercare in tutti i modi il coinvolgimento di Israele per cercare di danneggiarlo, rapendo o uccidendo qualche suo cittadino, ma anche subendo le perdite che derivano dall’affrontare una forza militare superiore e bene organizzata e poi lamentando i danni.
Questa è esattamente la logica della “marcia”: assalire le frontiere con Israele, sperare in qualche errore o combinazione che permetta di uccidere qualche soldato che presidia il confine o di rapirlo. Ma comunque vantare le vittime provocate da questi assalti. La strategia di comunicazione di Hamas si è concentrata nello scorso anno su questa partita e senza dubbio ha ottenuto qualche risultato fra coloro che li appoggiano. Ma non è certamente riuscita a eliminare la marginalità politica di un gruppo terroristico che non ha altro obiettivo se non cercare di far male a Israele e agli ebrei: la diffidenza dell’Egitto, la freddezza di tutti i paesi arabi, l’indifferenza europea, perfino l’ostilità aperta da parte dei concorrenti di Fatah, che non ne sopportano il tentativo di impadronirsi del potere anche a Ramallah. Solo qualche estremista in Europa e l’asse del male Iran-Turchia-Siria-Hezbollah sta dalla loro parte.
Vale comunque la pena di guardare ai dati. Sono uscite di recente due inchieste sulle perdite provocate dalle manifestazioni di Hamas: perdite arabe naturalmente, perché i manifestanti sono guidati all’assalto di un confine ben fortificato e difeso militarmente, che l’esercito israeliano non potrebbe abbandonare neanche se volesse, senza lasciare in balia dei terroristi i villaggi che sorgono in territorio israeliano poche centinaia di metri al di là della frontiera.
La prima inchiesta riguarda i morti. Come documenta dettagliatamente nel suo bollettino il The Meir Amit Intelligence and Terrorism Information Center elencando nomi, cognomi, età, gradi militari, fotografie: “Gli eventi delle “marce di ritorno” nella Striscia di Gaza sono continuati per 42 settimane. Nella maggior parte dei casi, questi eventi sono caratterizzati da un alto livello di violenza, con conseguenti perdite tra i rivoltosi, soprattutto tra quelli in prima linea che si trovano di fronte alle truppe dell’IDF.
Secondo lo studio dell’ITIC, basato su rapporti del Ministero della Sanità della Striscia di Gaza in combinazione con altre fonti, dall’inizio delle “marce di ritorno” del 30 marzo 2018, in questi eventi sono stati uccisi 187 palestinesi. Per quanto riguarda l’identità dei decessi (aggiornato al 16 gennaio 2019), 150 di loro sono stati trovati affiliati ad Hamas o ad altre organizzazioni terroristiche (circa l’80%). Tra gli incidenti mortali spiccano quelli appartenenti a Hamas o affiliati (96 morti, circa il 51% del numero totale di vittime). Un totale di 45 morti sono operativi dell’ala militare di Hamas (circa il 24% del numero totale di morti, circa il 47% del totale delle vittime di Hamas)[…] Il gran numero di vittime delle organizzazioni terroristiche in prima linea dimostra che la violenza contro le IDF vicino al confine non è “popolare”, come vuole dire la falsa propaganda palestinese. È orchestrato da Hamas e coinvolge in modo significativo gli agenti dell’ala militare di Hamas o gli agenti affiliati ad Hamas. Mostra anche che i soldati delle IDF non sparano indiscriminatamente a manifestanti “innocenti” ma invece, nella maggior parte dei casi, prendono di mira e colpiscono specifici terroristi. Va notato che il Ministero della Salute della Striscia di Gaza, le cui segnalazioni sono utilizzate come fonte per i media in tutto il mondo (così come in Israele), non fornisce informazioni sull’appartenenza organizzativa dei decessi, contribuendo così a trasmettere una falsa idea che l’IDF uccida dimostranti “innocenti”.
La seconda inchiesta è di una fonte generalmente ostile a Israele, “Médecins Sans Frontières”, un’organizzazione presente nella Striscia per assistere i manifestanti. Secondo MSF “un totale di 6.174 palestinesi sono stati feriti da proiettili sparati dalle truppe IDF negli ultimi 10 mesi da quando sono iniziate le proteste della Grande Marcia del Ritorno lungo la barriera di sicurezza che separa la Striscia di Gaza da Israele”. Non sono certamente pochi e il loro numero è una prova della dimensione delle dimensioni dell’assalto cui è stato sottoposto il confine, dato che sono stati colpiti tutti a distanza di pochi metri dalla frontiera. Non vi è stato un caso in cui durante questa manifestazioni gli israeliani abbiano inseguito i manifestanti al di là della frontiera.
L’aspetto più interessante è però un altro: “Secondo MSF, quasi il 90% delle persone ferite dal fuoco israeliano ha riportato ferite agli arti inferiori.”. Il significato è chiaro: l’esercito israeliano non spara a casaccio o a raffica, perché in questo caso le ferite si distribuirebbero su tutto il corpo, non spara per uccidere (sarebbe colpito allora prevalentemente il torso o la testa), colpisce per immobilizzare i terroristi e impedire loro di assaltare direttamente la rete di confine. Bisogna sottolineare che questo calcolo riguarda solo i feriti da armi da fuoco. Secondo ‘ufficio dell’Onu che si occupa di Gaza UNCUA, vi sono stati “ 6.744 feriti da munizioni vere [dato simile a quello di MSF ma] altri 9.430 per inalazione di gas [lacrimogeni], 741 da razzi e proiettili vari [gli strumenti con cui si diffondono i gas antisommossa] e altri 6.688 con altri mezzi. In sostanza l’esercito israeliano spara solo quando non riesce a fermare gli assalitori con altri mezzi.
C’è un altro dato che fa riflettere: “La documentazione dell’OCHA ha anche riscontrato che la maggior parte dei feriti erano uomini (16.519), seguiti da 5.183 giovani maschi e 1.437 donne e 464 ragazze.” In sostanza un’altra prova che chi assale il confine sono terroristi inquadrati nelle formazioni di Hamas, Fatah e degli altri gruppi. Donne e minori sono coinvolti solo marginalmente.
Su questi dati vale la pena di riflettere e fare chiarezza. Quel che accade a Gaza è un tentativo di assalto militare suicida da parte dei gruppi terroristi. Purtroppo essi a Gaza hanno seguito e non si profilano alternative pacifiche. E’ una logica poco soggetta al calcolo militare tattico e anche alla deterrenza. Difficile pensare che questa battaglia perdente auto-inflitta, per un gioco politico insensato, abbia presto termine.