Vi proponiamo la traduzione di un articolo pubblicato il 22 Dicembre sul The Boston Globe firmato Jeff Robbins. Crediamo rappresenti appieno ciò che sta accadendo alle Nazioni Unite nelle ultime settimane ed offre un quadro veritiero di quella che è stata l’azione della leadership Palestinese negli ultimi 15 anni.
“Un’ottima domanda” sul conflitto in Medio Oriente.
Due anni fa, ad una conferenza sul conflitto Mediorientale, l’allora deputato Barney Frank chiese al defunto Leonard Fein, un esponente della sinistra spesso critico nei confronti del Primo Ministro Israeliano Benjamin Netanyahu, perché i Palestinesi, nonostante affermino di desiderare una soluzione a due Stati, hanno continuato a rifiutare le proposte Israeliane di uno Stato in cambio di pace. “Questa”, rispose Fein, “è un’ottima domanda”.
Con la decisione Palestinese di obbligare le Nazioni Unite ad imporre le proprie condizioni ad Israele nonostante le obiezioni degli Stati Uniti, la domanda rimane tutt’oggi non solo ottima ma assume la forma di vera e propria questione ingombrante. Perché i Palestinesi hanno rifiutato la proposta Israeliana di uno Stato indipendente comprendente la West Bank, la striscia di Gaza e una capitale a Gerusalemme est nel 2000, poi ancora nel 2001 ed infine nel 2008? Dopotutto l’accettazione di una di queste offerte avrebbe portato non solo alla cessazione della costruzione di insediamenti, i quali vengono considerati il maggiore ostacolo alla pace, ma anche all’evacuazione di decine di migliaia di Israeliani dalla Cisgiordania. Quale conclusione deve trarre una persona ragionevole da questo rifiuto?
L’ex presidente Bill Clinton nelle sue memorie descrive il rifiuto posto da Yasser Arafat alla proposta Israeliana alla fine del suo secondo mandato come un evento tragico. Condoleezza Rice, Segretario di Stato durante la Presidenza Bush, nella sua autobiografia descrive l’ancor più favorevole offerta avanzata da Israele nel 2008 e le grandi speranze che gli Stati Uniti riponevano nel fatto che i Palestinesi avrebbero accettato ricambiando con la pace. “Alla fine” scrive la Rice “Mahmoud Abbas se ne andò dai negoziati esprimendo la volontà di accettare le eccezionali condizioni che gli erano state offerte, poteva essere il punto di svolta nella storia dell’intrattabile conflitto”.
La risposta all’ottima domanda posta da Frank, e la ragionevole conclusione da trarre dai continui rifiuti da parte dei Palestinesi, non è delle più felici. Le iniziative Israeliane per la creazione di uno Stato indipendente Palestinese sono tutte sorte con una condizione che per la leadership Palestinese è considerata come off-limits: una fine permanente del conflitto e l’impegno di accettare l’esistenza di Israele. Al contrario, la soluzione ultima del Consiglio di Sicurezza ONU a cui i Palestinesi aspirano è un punto di arrivo che non obbliga a nessuna di queste due condizioni; nessun vincolo verrebbe imposto ai Palestinesi per la fine della contesa.
Ciò che sta succedendo non è frutto del caso. Come Abbas sa, la piazza Palestinese si oppone a qualsiasi cessazione del conflitto con Israele che non comporti la sua scomparsa. Già prima della guerra tra Israele e Hamas di questa estate un sondaggio pubblico mostrava come meno del 30% dei Palestinesi sosteneva la soluzione a due Stati – una nazione Palestinese con Gaza e la West Bank in pace permanente con Israele. Quasi i due terzi rispondeva agli intervistatori che “la resistenza durerà finché tutta la Palestina storica non sarà liberata”. E lo scorso Settembre l’80% degli intervistati riteneva che Hamas avrebbe dovuto continuare il lancio di razzi su Israele. Proprio Hamas, riconosciuta dagli Stati Uniti come organizzazione terroristica, nel sondaggio riceveva l’88% nell’indice di gradimento mentre solo il 36% approvava la moderata Anp guidata da Abbas.
Tutto questo non è nuovo e non ci stupisce. Nel maggio 2009, non molto dopo aver rigettato le “eccezionali condizioni” descritte dalla Rice, Abbas dichiarò al Washington Post che non aveva fretta di fare pace con gli Israeliani e che si rifiutava persino di negoziare con loro. Piuttosto Abbas ha preferito attendere, sperando che la pressione internazionale avrebbe costretto Israele alla capitolazione senza farsi carico di nessun tipo di obbligo riguardo l’accettazione di vivere in pace. “Per il momento”, asserì Abbas al Post, ” nella West Bank abbiamo una buona situazione… le persone vivono una normale vita”.
La tesi dei Palestinesi per cui l’intervento delle Nazioni Unite è necessario per ottenere uno Stato raffigura una narrazione da utilizzare in blocco in certi ambienti. Purtroppo, però, si tratta di una narrazione che è difficile far quadrare con ciò che è realmente accaduto.
Traduzione a cura di: Mario Del Monte