Ancora attentati in Israele: il terrorismo palestinese non si ferma. C’è una pericolosa novità per la sicurezza di Israele, un terzo fronte che si sta aprendo. Si tratta della Giudea e Samaria, dove sempre più di frequente alle due modalità più diffuse di “resistenza popolare”, come dicono loro, o di terrorismo diffuso, come è più giusto dire, e cioè gli accoltellamenti e gli investimenti automobilistici, si sta aggiungendo l’uso delle armi da fuoco, sempre contro civili sconosciuti, per esempio colpiti da una macchina di passaggio mentre attendono l’autobus a una fermata. Così è andata a Ofra, così più di recente a Givat Asaf , così (all’interno di una fabbrica e non in una fermata) a Barkan.
Naturalmente l’uso delle armi dà ai terroristi un vantaggio tattico e li rende più pericolosi e difficili da prendere, anche se poi vengono presi ed eliminati, presto, come è successo al killer di Ofra o magari dopo alcune settimane di caccia, come è accaduto all’assassino di Barkan. Resta il fatto che la situazione di sicurezza si è decisamente deteriorata, anche perché gli accoltellamenti non sono cessati).
E’ un fatto grave e pericoloso, perché il meccanismo dell’imitazione è forte fra i palestinisti e purtroppo le armi non mancano, anche se l’esercito continua a sequestrarne e a distruggere fabbriche artigianali. L’origine di questa ondata è probabilmente Hamas, che cerca di continuare su altri fronti l’offensiva bloccata a Gaza. Usando le armi da fuoco e dunque alznado il livello dello scontro, sfoga il suo odio antisemita, ma cerca anche di mettere in difficoltà l’Autorità Palestinese che per motivi tattici e di propaganda aveva tollerato negli ultimi anni i metodi non ortodossi del terrorismo, più camuffabili nei media come reazioni popolari e aveva invece scoraggiato l’uso di pistole e mitra. Ma anche Fatah fa del suo meglio per non mancare in questa ondata, e continua a esaltare i terroristi e a propagandare l’assassinio degli ebrei. Su questo, come sull’obiettivo di eliminare lo strato di Israele, le varie correnti del palestinismo sono tutte uguali.
Naturalmente questa deriva va contrastata energicamente, ma non bisogna sbagliarsi: essa non è un segno di forza da parte dei palestinisti, ma il suo opposto. Significa prendere atto che la partita sul piano politico è perdente per loro, che è loro sempre più difficile trovare sponde per i loro progetti e che l’insignificanza è il loro evidente destino politico. Questi attacchi criminali contro i civili non hanno certo un impatto sul piano militare, anche se provocano lutti e sofferenze gravi. Il loro senso non può essere neppure quello di terrorizzare il popolo israeliano, che ha sempre mostrato di saper resistere ad attacchi assai più massicci. E’ dunque solo un modo di canalizzare l’odio razzista alimentato dal sistema palestinista, che non ha altro modo di emergere. Ed è un tentativo di mostrare, prima di tutto a se stessi, di essere ancora capaci di agire, sia pure nella modalità più stupida e crudele del terrorismo.
Chi deve capire soprattutto questa situazione è l’Europa, che continua ad appoggiare il palestinismo, con l’illusione di distinguerlo dal terrorismo, e prova a dare una mano alla sola potenza regionale importante che lo appoggia, cioè l’Iran, proprio mentre è essa stessa vittima del terrorismo islamista, lo stesso praticato da Hamas. Deve capirlo la sinistra israeliana, che soggiace sempre più alla tentazione di lasciar cadere la lotta contro il terrorismo. Israele, ne siamo sicuri, saprà difendersi e conserverà la lucidità politica che con Netanyahu caratterizza la sua azione.