Quattro anni di carcere ed espulsione appena scontata la pena. È questa la condanna per Abdel Salem Napulsi, palestinese di 38 anni, arrestato nello scorso marzo con l’accusa di “terrorismo” e legato a Anis Amri, conosciuto per essere l’attentatore di Berlino, rimasto ucciso a Sesto San Giovanni, vicino Milano, durante uno scontro a fuoco con la polizia.
Napulsi, già in prigione per reati di droga, fu raggiunto da una ordinanza di custodia cautelare insieme ad altri individui nel corso dell’operazione Mosaico, svolta dalla Digos di Roma e Latina che portò alla luce un piano terroristico per colpire una stazione della metropolitana di Roma.
Secondo l’accusa Napulsi prima si è radicalizzato e poi ha cercato sul web:
“Istruzioni sull’uso di armi da fuoco, tra cui anche un lancia razzi e nel deepweb la possibilità di acquistare mezzi di trasporto pesanti come camion o pick up idonei a montare armi da guerra, nonché a scaricare e visionare modalità di acquisto di armi finalizzati ad arrecare grave danno al Paese”.
Questa vicenda porta con sé una serie di considerazioni. La più evidenza che l’Italia ha seriamente rischiato di esser vittima del terrorismo, che voleva colpire un punto nevralgico di Roma.
Terrorismo che sembra correre sull’asse tunisino-palestinese (Anis Amri-Abdel Salem Napulsi). Sembra, perché al momento non si sa i rapporti siano stati causali oppure se esiste un ponte che lega la parte tunisina con quella palestinese.
Un’altra caratteristica che salta agli occhi è cosa ci sia dietro la figura di Anis Amri. L’attentatore di Berlino aveva contatti in Italia e cercava rifugio nei pressi di Milano. Aveva legami con un possibile terrorista che voleva colpire Roma e con Hisham Alhaabi, un 37enne tunisino che lo scorso marzo è stato espulso dall’Italia perché aveva l’ossessione di rintracciare Luca Scatà e Cristian Movio, i due poliziotti coinvolti nella sparatoria che portò proprio alla morte di Anis Amri.
Quale vespaio c’è attorno ad Anis Amri?