Il pogrom di Leopoli è uno dei più brutali accadimenti contro gli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale per mano della Germania nazista. E anche uno dei più dibattuti, vista la complicità della popolazione locale, assetata di quell’odio antisemita su cui fece leva il Terzo Reich.
Il pogrom di Leopoli è avvenuto in realtà in due momenti diversi nell’estate del 1941. Il primo, durato un mese, venne perpetrato dalla fine di giugno e l’inizio di luglio in cui vennero barbaramente uccisi circa 4mila ebrei. Il secondo cominciò il 25 luglio 1941 detto de “I giorni di Petliura”, dopo l’omicidio del leader ucraino Symon Petliura, nel quale persero la vita altri 2mila ebrei per lo più per mano dei civili collaborazionisti dopo essere stati costretti a marciare fino al cimitero ebraico o alla prigione di Lunecki.
Prima del secondo conflitto mondiale, a Leopoli risiedeva la terza maggior popolazione ebraica in Polonia in fuga dai nazisti, che nel 1941 conquistarono la città ai danni dei russi e decisero di mettere in atto i pogrom effettuati dalle Einsatzgruppen, unità operative speciali dei reparti tedeschi formata da uomini delle SS, della polizia e della Wehrmacht, guidati da Reinhard Heydrich, comandante della Reichssicherheitshauptamt o RSHA che operano durante la Guerra per uccidere “ebrei, zingari e avversari politici” come testimoniò il generale tedesco Erich von dem Bach-Zelewski nel corso del processo di Norimberga.
La città venne riconquistata da russi nel 1944, anno in cui gli ebrei ancora in vita era 200-300.
Uno dei più celebri sopravvissuti di religione ebraica di Leopoli fu Simon Wiesenthal, che non condivise le sorti della città, essendo stato deportato in un lager nazista.
Nel pogrom di Leopoli morirono complessivamente circa 6000 ebrei, vittime dell’odio antisemita condiviso non solo dalla Germania nazista durante la Shoah.