Il nuovo terrorismo palestinese basato sugli incendi perno dell’alleanza tra Iran e Hamas. Il “terrorismo del fuoco” che viene da Gaza sta avendo un impatto importante sul conflitto intorno alla Striscia. Fino a pochi mesi fa regnava per lo più la calma che derivava dalla secca sconfitta subita da Hamas nel 2014. Poi vennero gli assalti terroristi al confine, coperti dalle manifestazioni di massa. Durante questa fase qualcuno si inventò gli aquiloni incendiari, che nel frattempo si sono evoluti con palloncini a elio come mostrato da questo filmato. Il risultato è stata una devastazione naturale unica nella storia di Israele: campi e foreste bruciate, case minacciate, un inquinamento terribile dovuto ai roghi di pneumatici e di stoppie.
All’inizio i palloncini e gli aquiloni sembravano folklore e l’esercito era soprattutto preoccupato dai tentativi che commando terroristici sfondassero la barriera, con rischi gravissimi per la popolazione civile o seminassero bombe sul cammino di vigilanza dei soldati israeliani – tentativi che sono stati spesso ripetuti e ancora sono rischi presenti. Poi però la pressione delle comunità locali è cresciuta, perché i danni degli incendi sono gravi e i palloncini hanno iniziato a portare anche degli ordigni esplosivi, pericolosi per i bambini. I tentativi di abbattere palloni e aquiloni con i droni hanno avuto successo, ma queste armi di terrorismo artigianale costano pochissimo e dunque i danni proseguono anche se il 90% degli ordigni incendiari è fermato in volo.
Negli ultimi giorni Israele ha deciso di trattare queste armi come i razzi, che pure possono fare poco danno, grazie alla difesa antimissile di Iron Dome, iniziando dei bombardamenti di rappresaglia. A cui però Hamas ha risposto con il lancio di nuovi missili: 45 nella sola notte fra martedì e mercoledì. Israele ha segnalato che è in grado di distruggere le cellule degli aquiloni, per esempio colpendo l’automobile del capo di uno di questi gruppi e ferendo alcuni lanciatori con un drone. Ma poi ha deciso di non farlo. E ora siamo a una situazione tattica di rappresaglie che si inseguono: un’escalation che costituisce una svolta importante nel conflitto di Gaza.
Il punto è che Israele non vuole essere risucchiato in un’operazione militare come quella del 2014 e cerca in tutti i modi di non doverla fare, pur resistendo all’aggressione di Hamas. Perché Israele non vuole? Perché la guerra vera è al Nord, la partita importante è cacciare l’Iran dalla Siria e Israele ci sta riuscendo, ottenendo l’appoggio di Russia e Usa oltre che dei principali stati sunniti, e spingendo ormai la sua azione fino all’Eufrate, ai confini fra Siria e Iraq. La superiorità dell’aviazione israeliana su quella iraniana è schiacciante. L’Iran preferisce non parlarne, perché dovrebbe spiegare perché ha un corpo di occupazione in Siria e perderebbe la faccia per la sua inferirità militare.
E dunque cerca una diversione. Questo è esattamente il compito assegnato a Hamas. Se ci fosse una guerra a Gaza, Israele farebbe fatica a tenere i due fronti, non sul piano militare, ma su quello politico: di fronte a un’operazione militare massiccia a Gaza, Egitto, Arabia, Emirati, Giordania dovrebbero prendere le distanze. Per questo le rappresaglie contro il terrorismo del fuoco sono accuratamente calcolate per evitare l’escalation. Finché non ci sarà guerra a Gaza e la risposta ad aquiloni e palloni sarà sempre più efficace e specifica, Israele potrà dedicarsi al suo fronte strategico decisivo, quello con l’Iran. E questo è ciò che conta.