Philip Roth è morto ieri all’età di 85 anni. Considerato fra i famosi romanzieri ebrei di lingua inglese, Roth va annoverato tra gli scrittori più importanti della sua generazione.
Nato il 19 marzo 1933 a Newark, in New Jersey, Roth era nipote di immigrati ebrei provenienti dall’Europa orientale. È stato l’unico scrittore vivente che ha visto pubblicato il suo lavoro dalla Library of America.
Pur avendo ricevuto diversi riconoscimenti, non è mai riuscito ad aggiudicarsi il premio Nobel. Nel 1988 vince il premio Pulitzer con “Pastorale americana” e dopo una brillante carriera in cui scrisse quasi 30 romanzi, decise di annunciare il ritiro nel 2012.
Quasi mezzo secolo con la penna in mano, Roth si congedò dai così dai suoi ammiratori:
“Raccontare storie, questa cosa che mi è stata preziosa per tutta la vita, non è più al centro della mia vita. È strano, non avrei mai immaginato che potesse accadermi una cosa del genere”.
Roth si presentò per la prima volta al grande pubblico con “Addio, Columbus e cinque racconti” a cui fece seguito il romanzo “Lasciarsi andare”.
Uno dei grandi capolavori di Roth fu “Lamento di Portnoy”, che è contemporaneamente una tragedia e una commedia personale, recitata da Alexander Portnoy, un paziente ossessivamente monologante sul lettino, in preda a una nevrosi a sfondo sessuale.
Roth fu bersaglio di accuse di scurrilità (per non aver nascosto l’attività di masturbazione del protagonista), che lo aiutarono particolarmente nella vendita del libro.
Con Philip Roth se ne va un grande della letteratura, uno di quelli in grado di segnare una generazione con la sua bravura e la sua visione altra di guardare il mondo.