Oggi per l’ebraismo si conclude l’anno 5778 e stasera si apre il nuovo anno 5779. Dato che capodanno nella tradizione ebraica è l’inizio di un periodo di giudizio, più che una festa, e dunque richiede l’esame di sé, della propria condotta passata e il raddrizzamento dei torti compiuti e il pentimento dei peccati commessi, è inevitabile fare bilanci individuali e collettivi.
Il 5778 è stato per Israele un anno intenso, difficile e ricco però di risultati. Fra le cose che sono accadute bisogna ricordare il settantesimo compleanno dello Stato, che è certamente un risultato assai notevole cui si è aggiunto il trasferimento dell’ambasciata americana a Gerusalemme: un riconoscimento del rapporto millenario del popolo ebraico con la Città Santa che ha rotto una lunga ipocrisia. Israele ha dovuto difendersi da numerosi attacchi terroristi, dal ripetuto tentativo organizzato da Hamas di sfondare il confine e invadere il territorio israeliano, dalla pressione iraniana che lavora per portare armi e truppe a distanza utile per attaccare lo stato ebraico. Su tutti questi fronti la difesa di Israele è stata energica e misurata e ha ottenuto sostanziali successi. Sul fronte diplomatico il lungo lavoro per normalizzare le relazioni con paesi tradizionalmente ostili ha provocato frutti importanti: non solo le intese con Egitto, Giordania, Arabia e paesi del Golfo per resistere al terrorismo iraniano, a quello dell’Isis e di Hamas; ma anche la fioritura dei rapporti con India e Cina, l’apertura di scambi con molti stati africani e sudamericani, l’appoggio pieno da parte degli Stati Uniti, il dialogo difficile ma produttivo con la Russia lasciano Israele in una posizione di rispetto e ascolto internazionale che non aveva mai avuto prima. Certo, restano i nemici, i terropristi, l’Iran e i suoi satelliti, la Turchia islamizzata, per certi versi l’Unione Europea che coltiva al suo interno e anche al suo vertice focolai di antisemitismo, in generale una sinistra così disperata e priva del suo senso che sembra aver smarrito anche i principi etici che la tenevano lontana dall’odio contro gli ebrei. E dunque sul piano internazionale, militare e diplomatico, c’è molto lavoro da fare per uno stato che forse è il solo al mondo a dover difendere ininterrottamente la sua esistenza dalla sua fondazione e anche prima.
Per quanto riguarda la situazione interna di Israele, la popolazione a oggi è stimata in 8,9 milioni, di cui 6,6 sono ebrei (il 75%), 1,86 arabi (21%) e 418 mila non appartengono alle due comunità (immigrati non riconosciuti come ebrei, drusi, circassi ecc.). In un anno la popolazione è aumentata di 162.000 persone (1,9%). Di questi 25.000 sono nuovi immigrati, provenienti soprattutto da Russia, Ucraina, Francia, Stati Uniti. Gli israeliani sono contenti della loro vita Secondo l’indagine CBS, l’89% è molto soddisfatto o soddisfatto della propria vita, il 6% si sente solo, il 37% è insoddisfatto della propria situazione finanziaria e il 31% trova difficile coprire le proprie spese mensili. Il reddito medio delle famiglie era di 19.187 shekel (4.600 euro) lordi al mese (al netto delle tasse 15.751 NIS o 3800 euro). Circa due terzi delle famiglie israeliane vivono in appartamenti di proprietà, le altre pagano in media 800 euro di affitto. 52.809 coppie si sonosposate in Israele nel 2016 mentre 14.819 coppie hanno divorziato. Israele ha più di 2,5 milioni di famiglie e il numero medio di persone per ciascuna è 3,32.L’aspettativa di vita media delle donne è di 84,6 anni, quella degli uomini dell’80,7% (dati tratti qui).
Sono dati molto positivi, superiori a quelli che si possono trovare in Europa che insieme al quadro costante di un’economia forte e in crescita, di un settore della ricerca scientifica fra i migliori del mondo, di un’imprenditoria brillante e attiva, di una cultura vivace e critica disegnano uno stato in ottima salute, pieno di fiducia e di energia, nonostante le sfide da affronatre e le diversità che lo attraversano, o proprio grazie a queste.
Nel 5779 ci saranno certamente nuovi problemi. Non finirà il terrorismo, purtroppo, né la minaccia di un’aggressione da parte dell’Iran e dei suoi satelliti. Ci saranno le elezioni che nel sistema politico israeliano segnano sempre turbolenze e tentativi di interferenza dall’estero (ricordiamoci il massiccio tentativo di Obama di rovesciare Netanyahu quattro anni fa, finanziando e appoggiando i suoi nemici). Ci sono le inchieste giudiziarie aperte. Sul piano internazionale Israele dovrà lavorare per sventare le manovre propagandistiche dei palestinisti, che assai più che a costruire un loro stato sono interessati a danneggiare Israele in qualunque modo. Vi è una crescente alienazione della principale comunità della Diaspora ebraica, quella americana, che in maggioranza fra la lealtà al popolo ebraico e la propria appartenenza partitica alla sinistra sembra aver scelto la politica.C’è anche un’emergenza naturale, quella della siccità che dura ormai da sei anni: la tecnologia israeliana riesce a limitarne i danni, ma non ad annullarli del tutto.
Queste sono le sfide, i problemi aperti: difficili, in certi casi gravi, ma non certo insuperabili. Il clima dominante in Israele è di fiducia, come si è visto anche di soddisfazione generale. Lo stato ebraico non è mai stato così potente sul piano militare ed economico, così inserito nel contesto regionale e internazionale. Le preoccupazioni vere vanno piuttosto verso l’ebraismo della Diaspora, che è soggetto a un’ondata di antisemitismo, che a tratti non è ben riconosciuta perché proviene dall’alleanza fra sinistra e islamismo. E’ duro riconoscere che lo schieramento politico di cui ci si è maggioritariamente sentiti parte da almeno un secolo è diventato il nemico e il pericolo, mentre buona parte dei vecchi nemici della destra sono diventati alleati oggettivi e spesso consapevole. Ci vuole lucidità e coraggio per affrontare questo rovesciamento politico e non tutto il mondo ebraico ne è abbastanza fornito. Ma anche questo è un problema che si può superare, come ha mostrato il caso della Gran Bretagna, dove un ebraismo tradizionalmente vicino ai laburisti ha dovuto staccarsene, constatando il prevalere nel partito e non solo nel leader Corbyn di veleni antisemiti. Del resto i nuovi possibili alleati sono in crescita in tutto il mondo, Europa compresa.
Insomma c’è motivo di avere fiducia e speranza per il prossimo anno. Ma questo richiede di non abbassare la guardia, anzi a raddoppiare gli sforzi per spiegare la ragioni di Israele e dell’ebraismo. L’impegno è questo: chi si sente parte del popolo ebraico deve assumerselo come può e come sa.
Ai lettori l’augurio non solo di un anno buono e dolce, di salute e successi, di pace e progresso. Ma anche di un anno di impegno e responsabilità.