Le elezioni in Israele si avvicinano e i sondaggi ci dicono che la situazione è ancora abbastanza incerta. In questi giorni i partiti si stanno giocando la partita più importante, quella sugli indecisi. Oltre ai temi economici e sociali, molti cittadini esprimono la loro preferenza in base alle scelte proposte per risolvere il conflitto con i palestinesi e, come in tutte le democrazie, il tipo di soluzione offerta è diversa a seconda della posizione politica occupata. In questo piccolo approfondimento, ripreso dal blog Timesofisrael.com, i nostri lettori potranno trovare la risposta ad ogni domanda su cosa pensano i partiti israeliani rispetto al processo di pace, la materia forse più dibattuta, dove ci sono i contrasti più forti e che forse è il fattore decisivo per la vittoria elettorale.
Unione Sionista
Guidato da Isaac Herzog e Tzipi Livni, colei che ha guidato l’ultimo team di negoziatori che ha cercato di raggiungere un accordo definitivo con i palestinesi, è un partito di centro-sinistra che appoggia apertamente la soluzione a due Stati. L’obiettivo di Unione Sionista è di riaprire i negoziati, in un contesto bilaterale, regionale e internazionale, per raggiungere una soluzione definitiva con i palestinesi. Uno dei primi passi in questo senso per Unione Sionista è la cessazione della costruzione di nuovi insediamenti in West Bank che vengono considerati dannosi sia al raggiungimento dell’accordo di pace sia alla statura internazionale dello Stato d’Israele. In ogni caso Herzog ha ripetutamente affermato che molto dipenderà dalla volontà della parte palestinese e che un accordo è ancora molto lontano dall’essere raggiunto. Se Abbas deciderà di continuare sulla strada degli atti unilaterali, ad esempio accedendo alla Corte Penale Internazionale (azione che Herzog ha pubblicamente bollato come inaccettabile), i negoziati bilaterali andrebbero a farsi benedire. E’ per questo che durante la sua campagna elettorale Herzog ha ritenuto doveroso spiegare che parlare di pace troppo spesso potrebbe far salire le aspettative per qualcosa che potrebbe anche non verificarsi. Il partito appoggia la creazione di uno Stato palestinese basato sui confini del ’67 con scambi di territori consensuali ma a condizione che i palestinesi riconoscano Israele come Stato ebraico, che Israele non debba prendersi carico dei rifugiati e che la valle del Giordano rimanga sotto esclusivo controllo israeliano, tutti argomenti su cui i palestinesi non sembrano orientati a cedere.
Likud
In un discorso del 2009 l’attuale Primo Ministro Benjamin Netanyahu, leader del Likud, aveva dichiarato di essere disposto ad accettare la creazione di uno Stato palestinese smilitarizzato e che riconosca la natura ebraica dello Stato d’Israele. La sua principale paura è che Israele diventi uno Stato binazionale ed ha concentrato la sua azione legislativa per creare strumenti che evitino di arrivare a questo. I suoi critici gli contestano una certa immobilità sul piano dei negoziati ma Netanyahu ha risposto di essere ancora convinto che la soluzione a due Stati sia fattibile, l’unico problema è la situazione attuale nel Medio Oriente: qualsiasi ritiro delle truppe israeliane potrebbe portare gli estremisti islamici a sfruttare il temporaneo vuoto di potere. Secondo molti esperti l’atteggiamento di Netanyahu esprime bene il sentimento della società israeliana riguardo al conflitto, un certo impegno alla soluzione a due Stati ma anche disillusione rispetto alle possibilità concrete che il momento storico offre. Il Likud però è un partito molto variegato e ci sono molti esponenti al suo interno che sono completamente contrari alla formazione di uno Stato palestinese. In sostanza chiedono la continuazione dello status quo attuale o l’annessione della West Bank completa o parziale. La mancanza di omogeneità interna su questa opinione ha portato la formazione politica di centro-destra ad evitare di pubblicizzare qualsiasi piano dettagliato per non mettere in contrasto Netanyahu e il resto della leadership.
Habayit Hayeudi
Il partito di Naftali Bennett è l’unico ad opporsi esplicitamente alla creazione di uno Stato palestinese o a qualsiasi concessione territoriale. In realtà però Bennett non chiede la completa annessione della West bank, piuttosto il suo piano di stabilità prevede la mera applicazione della sovranità israeliana nella Zona C delineata dagli Accordi di Oslo che copre il 60% dell’intera West Bank e in cui vivono circa 350mila ebrei e 80mila palestinesi.
Lista Araba Unita
Si tratta di un movimento formato da 3 partiti ( due prettamente arabi e uno arabo-israeliano) che chiede inequivocabilmente la formazione di uno Stato palestinese con i confini pre ’67 e Gerusalemme Est capitale. Stranamente il partito non ha mai menzionato la formula dei scambi di terra consensuali che viene spesso ripetuta da tutte le altre formazioni politiche. Oltre alla nascita dello Stato palestinese, la Lista Araba Unita chiede la cessazione dell’occupazione di tutti i territori conquistati nella guerra del 1967, comprese le Alture del Golan e Gerusalemme Est, zone formalmente annesse da Israele molti anni fa. Inoltre caldeggia la realizzazione del Diritto al Ritorno tanto voluto dai palestinesi per risolvere la questione dei rifugiati, una soluzione che permetterebbe ad un numero impressionante di discendenti dei rifugiati del 1948 di tornare a vivere nelle case degli antenati. Tra le altre proposte c’è lo smantellamento di tutti gli insediamenti oltre la Green Line, l’abbattimento della barriera protettiva e la liberazione di tutti i prigionieri politici palestinesi.
Yesh Atid
Anche il partito centrista di Yair Lapid punta sulla soluzione a due Stati. Secondo Lapid le trattative non si devono concentrare sulla pace, rimandata almeno di dieci anni, ma sulle regole che comportano questa pace:”In questo momento non c’è nessuna pace, loro vogliono uno Stato, noi glielo daremo se accetteranno le nostre richieste di sicurezza”. Queste misure di sicurezza a lungo termine prevedono la smilitarizzazione completa della West Bank e il disarmo di Hamas con l’aiuto della Lega Araba. L’intera Gerusalemme e la maggior parte degli insediamenti rimarrebbero sotto la sovranità israeliana.
Kulanu
Il partito centrista di Moshe Kahlon ha concentrato la sua campagna elettorale molto più sugli aspetti socioeconomici che sul conflitto con i palestinesi soprattutto perché il suo leader è fermamente convinto che non ci sia al momento un partner affidabile con cui intrattenere seri e impegnativi negoziati di pace, nel frattempo però si possono operare una serie di politiche che facilitino il percorso verso un accordo definitivo come il blocco alla costruzione di nuovi insediamenti e il miglioramento delle condizioni di vita dei palestinesi. Anche per Kahlon la soluzione a due Stati è quella più logica ma solo ed esclusivamente con una serie di garanzie per la sicurezza di Israele.
Yisrael Beytenu
Nonostante la sua immagine prettamente di destra, il leader Avigdor Liberman è uno dei più grandi sostenitori della soluzione a due Stati. L’unica sostanziale variazione rispetto agli altri partiti consiste nel non ritenere i confini del ’67 come la base migliore su cui disegnare la spartizione del territorio, preferendo una conformazione che tenga conto del numero di ebrei e di arabi che vivono nei Territori contesi, ovvero mantenendo sotto sovranità israeliana i grandi insediamenti e cedendo le zone dove la presenza araba è dominante. A differenza degli altri partiti di destra con cui è in forte polemica, Yisrael Beytenu si oppone all’annessione della West Bank perché paventerebbe l’ipotesi di uno Stato binazionale che nuocerebbe alla demografia ebraica.
Meretz
Unico partito a definirsi orgogliosamente di sinistra, è guidato da Zehava Gal-On che è convinta che i negoziati bilaterali siano ormai falliti da tempo perciò è necessario un nuovo approccio che sia concorde con tutto il mondo arabo, compresi gli Stati vicini. Secondo Meretz l’accordo dovrebbe basarsi sull’iniziativa di pace araba che prevede, oltre ai confini del ’67, Gerusalemme come capitale unica ma con sovranità politica divisa in zone urbane predefinite. Questo piano necessita l’immediato e incondizionato congelamento dei nuovi insediamenti compresi quelli nella Zona C delineata dagli Accordi di Oslo.
Partiti religiosi
Sono tre i partiti religiosi che si presenteranno alle prossime elezioni: lo Shas, il partito degli ortodossi sefarditi, United Torah Judaism, degli ortodossi ashkenaziti, e Yahad, che punta a tutti gli ultra-ortodossi e ai nazionalisti religiosi. Lo Shas è alleato di Netanyahu e ha preferito non intervenire nella questione diplomatica, negli anni passati però ha più volte sostenuto la soluzione a due Stati per scongiurare l’ipotesi di uno Stato binazionale. Il partito degli ortodossi ashkenaziti United Torah Judaism, in base al principio per cui gli ebrei non possono reclamare nessun territorio prima dell’arrivo del messia, è rimasto in silenzio sul conflitto israelo-palestinese, Yahad invece si oppone a qualsiasi concessione territoriale ai palestinesi, specialmente per quanto riguarda la West Bank.