Ogni volta che qualcuno rivolgeva a Rav Toaff l’augurio ebraico di vivere come Mosè fino a meaveesrim (120 anni) lui rispondeva correggendo: Meakesrim, non centoventi, ma cento come se fossero venti. Riuscendo, come sanno fare solamente le figure straordinarie, a trasmettere un insegnamento anche con l’ironia: non era importante il numero degli anni vissuti, ma lo spirito con cui la vita dovesse essere vissuta.
Da grande maestro non si è limitato ad insegnare, ma si è reso esempio di ciò che predicava: ha vissuto i suoi cent’anni con lo stesso spirito di quando aveva vent’anni. Di quando scelse di arruolarsi con la Resistenza o di quando, poco più grande, ebbe il coraggio di assumere la guida di una Comunità distrutta dalla Shoah e dalla povertà come quella di Roma.
A noi, che ci sentiamo tutti suoi nipoti, lascia questo insegnamento. L’ebraismo non è solo una sequenza di principi, ma una serie di valori che costituiscono la nostra identità e i influenzano i nostri comportamenti.
Ciò che differenzia un ventenne da un centenario è la speranza di poter cambiare le cose con la certezza dentro al cuore che si possa costruire qualcosa di diverso. In questa maniera Rav Toaff ha vissuto i suoi cento anni come se ne avesse venti. Per questo, per onorarne la memoria, la generazione che oggi ha circa vent’anni dovrebbe imparare qualcosa da lui, dal suo sorriso, dalla sua gentilezza e la sua fermezza nel difendere il proprio popolo. Solo così il suo insegnamento non andrà mai perso.