Intorno alla metà di Marzo alcune organizzazioni palestinesi hanno lanciato una campagna per la nomina di Marwan Barghouti, il leader di Fatah condannato a cinque ergastoli dalla giustizia israeliana, a Premio Nobel per la Pace. A sponsorizzare questa iniziativa fra le tante sigle ci sono la Palestinian Commission for Prisoners, il Palestinian Prisoners Club ed il Palestinian Legislative Council.
Al momento sono previste solo marce e manifestazioni in tutta la West Bank e Gaza in supporto della nomina ma è lecito pensare che gli organizzatori stiano pianificando una massiccia campagna nei media internazionali.
Barghouti è stato arrestato dall’IDF nel 2002 a Ramallah e condannato due anni dopo a cinque ergastoli per il suo coinvolgimento in svariati attentati terroristici contro cittadini israeliani durante la Seconda Intifada.
Tra i sostenitori, oltre a nomi altisonanti come lo scrittore argentino Adolfo Perez Esquivel, ci sono anche le organizzazioni terroristiche palestinesi Hamas e Jihad Islamica che si dicono pronte a una riconciliazione con Fatah pur di mettere fine “all’occupazione sionista”.
Sebbene il movimento si dichiari puramente non violento ci sono alcuni aspetti che potrebbero presentarsi come molto problematici per gli equilibri del conflitto israelo-palestinese. Innanzitutto all’interno del comitato sono presenti Qadura Fares, Sarhan Davikat e Mohammed Horani, tre ex leader dell’organizzazione terroristica Fatah Tanzim. Inoltre tutti e tre questi personaggi si sono incontrati ultimamente con i pezzi grossi di Hamas come Khaled Meshaal, Moussa Abu Marzouk, Salah al-Aruri, Osama Hamdan e Husam Badran. Alcuni di loro sono considerati le menti dietro gli attentati compiuti dall’organizzazione terroristica di base a Gaza.
Oggetto di questi incontri sarebbe stato, secondo gli stessi organizzatori, un piano onnicomprensivo per il ritiro delle truppe israeliane dietro i confini pre ’67 e l’implementazione di alcune decisioni appoggiate dalla comunità internazionale come il diritto al ritorno per i rifugiati palestinesi ed il rilascio di tutti i prigionieri detenuti nelle carceri israeliane. Sostanzialmente si parla di una bomba demografica in grado di far diventare gli ebrei una minoranza in Israele e la liberazione di migliaia di persone che nel migliore dei casi sono stati fermati prima che potessero uccidere dei civili. Tutto ciò rende impossibili i negoziati bilaterali con il governo israeliano, reputato dai promotori “un governo di estrema destra”, l’unica vera strada plausibile per una riconciliazione credibile fra i due popoli.
Ad Abbas non è stato chiesto di supportare la campagna perché nelle intenzioni del comitato c’è anche quella di presentare Barghouti alle prossime elezioni presidenziali quando finalmente Abbas farà un passo indietro.
Tra le altre catastrofiche idee proposte dal comitato c’è la fine degli Accordi di Oslo e tutto ciò che gravita intorno a questi come il riconoscimento dello Stato d’Israele da parte dell’OLP. Questi dovranno essere rinegoziati con i nuovi soggetti palestinesi (che intendono farsi chiamare The People’s Peaceful Revolution) nel quadro di un nuovo summit internazionale. L’obiettivo è quello di abbattere l’ANP per confondere Israele che si ritroverà nella situazione di dover trattare con un popolo e non con un’organizzazione pre-statuale.
Inoltre in questi incontri, che hanno avuto luogo in varie località come Ramallah e Istanbul, si è parlato di negare la possibilità a Israele di dimostrare la propria sovranità in alcuni territori. Per raggiungere questo scopo sono previsti blocchi stradali sulle principali arterie che collegano gli insediamenti ebraici in West Bank, danneggiamenti alle infrastrutture come linee elettriche e telefoniche e proteste di massa a Gerusalemme.
Infine altre campagne atte a danneggiare l’immagine d’Israele all’estero come quella già messa in piedi dal movimento BDS.
Sebbene questo piano sembri poco realizzabile a causa delle frizioni fra le varie fazioni palestinesi va notato come in questa occasione non si parli di “coalizioni di governo” o di “elezioni generali” ma esclusivamente di “fine dell’occupazione”, obiettivo caro a tutte le parti in causa. In generale sembra che il comitato stia preparando il terreno per una nuova presidenza palestinese che si presenti al mondo forte, non violenta e scomoda per Israele in termini d’immagine. Ciò può scatenare una nuova Intifada stavolta ben coordinata ed in grado di attaccare Israele da più angolature. L’ago della bilancia sarà decisamente Hamas, a seconda di quanto seriamente prenderanno l’iniziativa e di quanto saranno disposti a scendere in secondo piano per far spazio all’ingombrante figura di Barghouti.