Qualche giorno fa a Parigi è stato presentato l’evento ‘Tel Aviv su Seine’, manifestazione estiva in cui si invitano paesi stranieri ad allestire una spiaggia artificiale sulle sponde del fiume, con stand, musica e cibi tipici. Come succede sempre più spesso quando c’è di mezzo Israele, le associazioni pro-Palestina e il Partie de Gauche si sono scatenati chiedendone l’annullamento. Danielle Simmonet, consigliera comunale dichiara: “Dopo un anno dal massacro di Gaza, Parigi organizza “Tel Aviv a Paris”.
Quando diviene chiaro che l’evento non sarebbe stato annullato ma ulteriormente supportato dal Primo Ministro Valls e dal sindaco Anne Hidalgo, la polemica monta sui social network e la pressione costringe il Ministero degli Interni a disporre una sorveglianza doppia con 500 unità tra gendarmi e poliziotti, per evitare manifestazioni d’intolleranza e di antisemitismo. I media francesi rilanciano, Le Monde in testa, evidenziando come “molti utenti di Internet e numerose associazioni stiano protestando contro #TelAvivSurSeine” e il settimanale L’Express informa i lettori che l’evento “sta suscitando le ire di molti attivisti filo-palestinesi” e del network di simpatizzanti loro collegato.
Ma un blogger di lingua francese scopre il gioco che si nasconde dietro l’ondata d’indignazione e svela i metodi con i quali la lobby anti-israeliana tiene in scacco i media tradizionali sfruttandone la poca dimestichezza con i social network. Il giovane che ha effettuato la ricerca è Nicolas Vanderbiest, assistente all’Università Cattolica di Louvain. Usando strumenti che si impiegano per mappare le reti sociali ha appena pubblicato informazioni in grado di mostrare con chiarezza come pochi account ben gestiti hanno abbindolato l’opinione pubblica inducendo a credere i media francesi che nella protesta anti-israeliana fossero coinvolti migliaia di utenti. Le contestazioni – e relativi retweet su Twitter – erano in verità un falso ben congegnato.
1 – Il racconto su Twitter
Il primo tweet utilizza l’hashtag #telavivsurseine è un tweet positivo e riprende un messaggio del direttore della comunicazione dell’ambasciata d’Israele. E’ il 3 agosto.
TROP BIEN ! 😀 #TelAvivSurSeine https://t.co/qLocfJhEty
— Many (@m_a_ny) August 3, 2015
Bisogna attendere il 5 Agosto perché un utente propal riprenda l’hashtag e denunci la partnership tra le due città.
#TelAvivSurSeine à #ParisPlage deux villes unies dans la dégueulasserie du #FriendlySionism http://t.co/4cFi44cMNo
— Le Cobaye intnl (@LeCobaye) August 4, 2015
Il primo vero tweet negativo è di Quentin Faure «lettore del Monde Diplo» denominandosi della «TeamBourdieu». Si rivolge al sindaco di Parigi Anne Hidalgo e gli chiede «se gli arabi debbano oltrepassare un checkpoint» per raggiungere l’evento:
Mairie de #Paris organise #TelAvivSurSeine. Les arabes devront-ils passer un checkpoint ? #ParisPlages @Anne_Hidalgo http://t.co/Hhx1K3DB41
— Quentin Faure (@QuentinFaure) August 5, 2015
Ma questo non è nient’altro che un troll. È l’account Moonbee che prova ad accendere le proteste della militanza:
Dites @Anne_Hidalgo , c’est la #LDJ qui gère la sécurité ? Un blocus des musulmans parisien est prévu comme à #gaza ? #TelAvivSurSeine
— moonbee (@BMoon_bee) August 5, 2015
che fin dall’inizio precisa che non avere come riferimento Tel Aviv ma di avversare lo Stato d’Israele portando la conversazione sul piano politico:
@BMoon_bee @Anne_Hidalgo tiens tu dois sûrement pas avoir les moyens de payer un voyage . Je t’envoie photo telaviv pic.twitter.com/pYnpnKqklK
— DavidQVEMF2 (@Davidzg1) August 9, 2015
L’argomento rimane ancora poco discusso, siamo alla sera del 5 Agosto. Solo 465 persone fino ad ora ne hanno parlato. Le conversazioni vertono praticamente tutte sul sindaco Anne Hidalgo.
Ma l’8 agosto succede qualcosa: parte una forma di protesta massiccia e organizzata che incedere in modo quasi militare tanto è forte e decisa l’azione in termini di coordinamento. Ecco la situazione il 7 agosto alle 23,00:
ed eccoci il giorno seguente, alla stessa ora. La protesta è esplosa in modo esponenziale:
Per capire meglio, elenchiamo le aree colorate che appaiono in questo grafico:
- L’area blu la possiamo qualificare come pro-palestinese e si concentra intorno a 3 account: Oxymorus, KarimaB_ e PaulDraszen. Questi contabilizzano 2000 tweets – retweets inclusi.
- L’area malva con Rania2Palestine,Servale45 et Madjid Messaoudene (MadjiFalastine), quest’ultimo consigliere municipale del Fronte di Sinistra a Saint Denis conta un totale di 1000 tweets.
- L’area verde è un po’ meno attiva. Tre account: il rappeur Médine, la militante Sihame Assbague e CitoyenDuMonde – il più prolifico – che twitta 25 messaggi e ne retweetta 1197.
- In arancione, ritroviamo Al Kanz, uno dei principali account social musulmani di Francia
- Infine in celeste, la comunità «a favore dell’evento» dove s’incontra il direttore della comunicazione dell’ambasciata israeliana , un militante dei Repubblicani Aurore Bergé, i giornalisti Julien Bahloul e Claude Askolovitch. I loro interventi hanno permesso alla stampa creare articoli nei quali illustrare una versione dei fatti alternativa. Questi account pro-evento allertano anche la loro ‘comunità’ di riferimento che accorre ad alimentare lo scontro.
Alla fine sono piuttosto evidenti i due opposti campi che si contendono la visibilità:
I propalestinesi hanno giocato bene le loro carte, perché l’affaire balza alle cronache. I politici devono reagire. È il caso della consigliera di Parigi, Danielle Simonnet, del Partito di Sinistra, che redige un comunicato contro l’evento sulla Senna. Qualcuno crea una petizione on line per informare l’opinione pubblica, mentre Bruno Julliard, il vice sindaco di Parigi, si dichiara favorevole all’iniziativa sulla stampa.
2 – L’analisi
Abbiamo quindi 39.306 tweet pubblicati per 10.428 persone. Semplificando, una media di quattro tweet a persona. Analizzando la viralità di notizie di cronaca analoghe sui social network, per ottenere la stessa reazione in termini numerici sarebbe servito il triplo del tempo. Ad una prima occhiata è vero, la movimentazione genera l’impressione di un movimento spontaneo e molto popolare, cosa che però non corrisponde alla realtà. La grafica dimostra come gli account interessati all’argomento siano tra loro siano molto (troppo) connessi nella rappresentazione grafica (sono followers/following, cioè si seguono a vicenda), con la sola eccezione del gruppo rosso “pro-Israele”. Si tratta, come si dice in gergo, di “astroturfing”, ovvero della creazione a tavolino di falso consenso, per alimentare in modo artificiale un’aura di sostegno alla loro battaglia.
Per illustrarvi questo metodo, prendiamo un tweet molto semplice e non esageratamente antisionista come questo qui sotto:
#TelAvivSurSeine c’est tout sauf une bonne idée, ceux qui ont pondu ce projet sont complètement à l’ouest. Bad timing. Bad marketing.
— Olivier Rimmel (@OlivierRimmel) August 8, 2015
Questo ha ottenuto una 60na di retweets. Tuttavia, controlliamo a fondo gli account che stanno dietro questi retweet, scopriamo qualcosa di singolare: sono account falsi. Sono account creati solo per alimentare artificialmente il numero di RT, come MannWhatsup, che postano ossessivamente materiale a senso unico, creati solo per gridare allo scandalo. La maggior parte hanno questa caratteristica, sono account “vuoti” che twittano e retwittano a comando e alle spalle non hanno una persona fisica. Nicolas conosce molto bene l’account dell’associazione umanitaria Baraka City, coinvolto in altre iniziative:
Nel 2013 si è battuta contro il canale M6 e il suo programma «Pechino Express». Il canale televisivo aveva fatto la scelta azzardata di organizzare il gioco in Birmania, paese dove la minoranza dei Rohingya è stata massacrata. All’epoca Nicolas aveva mostrato come c’era stato un chiaro esempio di astroturfing. Tutti gli account di protesta erano legati a Al Kanz e Baraka City senza essere connessi tra loro e questo è una delle prove più evidenti che presentano gli account creati unicamente per i retweets e dare un’ampiezza artificiale ad un hashtag:
Questi utenti, a furia di postare contenuti per cercare di influenza in modo fraudolento la conversazione su Twitter, si sono allenati a quest’esercizio, tanto da sviluppare una piattaforma dedicata che ha la possibilità in automatico di sfornare un certo numero di tweets al minuto per motivare un movimento d’opinione tra i follower. All’epoca proponevano anche dei tweets pronti all’uso, che li hanno aiutati a conseguire piccole vittorie. Ritroviamo l’uso delle stesse tecniche anche nel caso di “Tel Aviv sur Seine”, come:
- l’utilizzo di immagini shock
- l’inserimento dell’hashtag scelto che ritroviamo in tutti i messaggi:
Nel caso di “Tel Aviv sur Seine”, Al Kanz allerta la community che aveva già creato (notare la presenza di account birmani che sono fuori luogo per una protesta francese contro Tel Aviv). Tutte le informazioni sono buone per nutrire l’hashtag, anche quelle false. Questi militanti infatti sanno molto bene che i giornalisti non hanno tempo per verificare la veridicità delle notizie.
La pagina di 20minutes – che fa un’analisi veloce delle reazioni sul web – lo possiamo constatare:
“gli internauti esprimono la loro collera sui social network e su Twitter dove l’hashtag #telavivsurseine è molto utilizzata in questo fine settimana – più di 15.000 volte secondo Topsy – esprimendo spesso commenti molto aggressivi o antisemiti. La parola chiave Tel Aviv è tra le più popolari in Francia questa domenica”
ma Topsy, uno strumento di misurazione dei social network, non fa altro che contare. Non controlla e non verifica la profondità di certi account, il loro spessore, la loro “vita sociale”, in poche parole: la loro autenticità. Ci sono plugin o robot vari (crearli è un gioco da ragazzi) che ad esempio usano in automatico la popolarità di un hashtag per tentare di diffondere notorietà e inserirli in trend molto seguiti.
Questi account possono essere creati in serie con l’uso di strumenti facilmente reperibili sul web, che creano nomi associandoci immagini di profilo e anche rilasciando tweet in automatico di tanto in tanto per sembrare autentici. Attraverso un pannello di controllo quando si vuole far rimbalzare un certo tweet basterà scegliere quanti di questi account dovranno essere utilizzati ed entro quale intervallo di tempo. Non sorprende ad esempio che i profili di coloro che sono intervenuti non sono per la maggior parte francesi, con una presenza molto forte di Israele, Marocco, Algeria e Palestina. Ma il dibattito interessava la città di Parigi! Quanti birmani, coreani e congolesi possono essere interessati non solo a contestare il sindaco di Parigi, ma proprio ad essere a conoscenza della vicenda? Infatti, se prendiamo solo gli utenti francesi, dobbiamo ridurre il numero di 1/4, e da 40.000 passare a 10.291 tweets con 2.941 utenti (senza contare quelli che non offrono la possibilità di essere localizzati). Infine, se togliamo i retweets degli account deboli, quelli con pochi followers, arriviamo a poco più di 9mila tweets con 2.904 utilizzatori. La morale è semplice: gli strumenti di conteggio rudimentale come Topsy non sono utili per misurare la forza autentica di un buzz, mentre è piuttosto chiaro come esista un circo montato per sostenere artificialmente l’efficacia del passaparola antisraeliano.
Soffermarsi solo sulla differenza tra l’hashtag principale (#TelAvivSurSeine) e il secondo hashtag – #Paris, con 1.412 menzioni – ci si rende conto della concentrazione degli sforzi con fine propagandistico, così affilati da evidenziare la loro natura artificiale. In una normale ondata di protesta su Twitter gli hashtag si sarebbero distribuiti invece in modo più naturale.
3 – Sintesi
- Nella battaglia per la conquista della visibilità, è necessario rendere «materiale» quello che è«immateriale» (l’opinione)
Con l’arrivo delle petizioni on line e l’uso massiccio delle piattaforme social si sono aggiunti nuovi strumenti nella valigetta dei militanti per aggregare e fare opinione. I social network sono un terreno di gioco sul quale si trovano a loro agio. Non c’è più bisogno di presentarsi sul terreno, dove si può essere facilmente contati. Basta un retweet, un like o una condivisione perché una manifestazione popolare sia realizzata con poco sforzo. Questo genere di azioni rischiano di diventare sempre più frequenti.
- Polemica e media, una coppia inseparabile.
Nel mondo mediatico dove il buzz e le lotte appassionano la gente, il gioco consiste nel «trollare» il campo avverso per far passare attraverso il passaparola – innescato artificialmente – il proprio messaggio. È il «paradosso reazionario»: il fatto di reagire negativamente ad un messaggio che non piace gli conferisce al tempo stesso una grande visibilità. I «pro-evento» hanno contribuito a creare buzz sulla storia. I media hanno ritrasmesso una variante confezionata a tavolino, servita dagli account dei militanti e capace di generare altre reazioni di nuovo trasmesse dalla stampa innescando un vortice azione-reazione che la politica e i media non possono ignorare. Una volta il teatro della mobilitazione erano le piazze cittadine, oggi è su Twitter che i militanti cercano di attirare l’attenzione di pubblico e influencer.
Un livello nuovo di confronto richiederà maggiore attenzione da parte di media e giornalisti, che dovranno dotarsi di strumenti nuovi di analisi per disinnescare nuovi facili tentativi di manipolare l’informazione.
[Introduzione e adattamento di Alex Zarfati, traduzione di Yoram Debach. Fonte: http://rue89.nouvelobs.com]